NON CI CONSEGNEREMO AL SILENZIO
di Realizzare Insieme – Coordinamento Nazionale
L’anno che inizia è pieno di incognite sulla tenuta del governo, sulla tenuta dei partiti e movimenti, sulla rabbia/disinteresse del Popolo difronte ad una gestione della cosa pubblica generalmente giudicata iniqua, sciatta e, ci si passi il termine, indignitosa.
Ed è proprio sulla dignità, il suo valore, la sua forza che vorremmo, per primo, soffermarci in queste brevi riflessioni.
Mai, per come è nato questo governo e per i fatti che ne hanno preceduto la nascita o sono immediatamente seguiti, la parola dignità assume un valore emblematico.
Che dignità può avere un governo guidato da un trasformista di professione pronto a sconfessare le politiche che aveva sostenuto e diretto appena pochi istanti prima?
Che dignità può avere un governo che sostiene una legge finanziaria oggetto di un continuo balletto sulle note di spinte endogene ed esogene, secondo che prevalgano interessi di parte o marchiani errori di calcolo?
Che dignità può avere un governo che per la gran parte del Paese giustifica la sua esistenza con il terrore di andare al voto e ridare al popolo la sovranità che gli ha scippato?
È pur vero che anche questo Governo passerà ma resteranno e si saranno aggravati i veri problemi del Paese, problemi di cui poco si parla anche perché esiste ormai solo una informazione serva, gestita da pochi oligarchi che profittando dei mezzi e media disponibili, in spregio della volontà del paese, stanno disinformando ed ingannando il Popolo.
Prova ne sia che ad inizio dell’anno passato sulla notizia di una possibile manifestazione dal roboante titolo “MARCIA SU ROMA”, organizzata da un movimento “politico” dalle percentuali di consenso espresse nella teoria dei numeri millesimali, si sono disturbati nel commento esimi politici, illustri amministratori, superbi gran commis d’etat, luminari del giornalismo, sedicenti intellettuali.
Il fatto che una manifestazione dal titolo folcloristico richiami l’attenzione di tante intelligenze sollecita due riflessioni: o le cd. Élite stanno imbecillendo (e non sarebbe un male) o la democrazia di questo paese è talmente debole da temere delle comparsate che non hanno neanche lontanamente la dignità di rievocazione storica.
Il perché porta a galla tutte le responsabilità politiche individuali e collettive di questi ultimi 25 anni, siamo nell’ era del politicamente corretto, abbiamo cominciato ad arretrare, a ripiegare sul concetto di dibattito sociale.
Ad impaurirci.
E la paura, questa sì, è sempre la figlia prediletta di una dittatura. Non cambia molto se questa dittatura è fascista, comunista, o sia la dittatura del pensiero comune.
Spesso la gente vorrebbe esprimere dei pensieri, ma si consegna al silenzio. Si sta arretrando, atrocemente, verso la negazione della parola.
I regimi politici obbligano alla censura, il politicamente corretto all’ autocensura, che è una censura all’ ennesima potenza. Quando sei tu a silenziare te stesso per paura non di un tiranno, ma della comunità, sei nella peggiore delle dittature.
Ritornando ai problemi incrociamo alcune indifferibili necessità.
Ci sarebbe da mettere mano ad una profonda riforma della giustizia disinnescando l’azione politica che spesso traspare nell’attività giudiziaria e soprattutto ripristinando i dettati costituzionali sul giusto e rapido processo, sulla presunzione di innocenza, sul l’interpretazione letterale del precetto penale. Ci sarebbe da contingentare rigidamente le tempistiche processuali. Solo allora la prescrizione sarebbe una misura giusta ma in questa fase, ove la tempistica del processo è una opinione, la soppressione della decorrenza è una condanna che sacrificherà molti innocenti.
Tutti poi parlano di sicurezza ma la sicurezza non è un fatto alieno dalla giustizia, anzi, solo se la giustizia conforta le vittime del reato e punisce i rei si potrà parlare di sicurezza: meglio una sanzione piccola e immediata che la vaga promessa di un lontano terribile castigo. L’attuale sistema favorisce se non incentiva la recidiva, fa crescere frustrazione e scoramento tra chi opera nel settore ed accresce la voglia di giustizia autogestita.
Il problema immigrazione con tutti i suoi risvolti sulla sicurezza sull’economia, sull’assistenza sanitaria e sulla solidarietà verso le fasce deboli del nostro paese, resta lì, ovattato nel clamore ed alterato nei numeri, è vittima di un processo soporifero a fini elettorali (tattica già in parte è similarmente messa in essere da Minniti) ma resta comunque inconcepibile che per tutelare masse di immigrati, in massima parte clandestini, vengano sprecate risorse destinabili agli indigeni in difficoltà economica.
C’è poi il problema del lavoro e della mancanza di una politica industriale (ILVA e ALITALIA in primis) che crei il lavoro e lo incentivi, dando al lavoro il giusto compenso e la conseguente dignità, distinguendo la solidarietà per chi ne è privo dal miserevole tentativo di narcotizzare le coscienze.
Un ultimo problema, e secondo noi è il più grave, è quello della sanità.
La sanità in Italia si sta progressivamente privatizzando. La struttura pubblica non regge più i numeri e la cointeressenza pubblico/privato sta creando sacche di abuso che incidono sui più deboli. Un paese civile che si definisce anche democratico non può consentire che la salute venga assicurata dal censo e che solo i più ricchi possano accedere alla sanità preventiva di cui tanto si blatera ma senza alcun provvedimento concreto.
Questa politica raffazzonata, opportunista, mercatale trova in gran parte origine dal venir meno delle ideologie che, più che consentire un confronto più costruttivo, meno vincolato all’ortodossia delle dottrine politiche, si è rivelato causa del decadimento morale della politica.
Il dibattito ideologico era basato sul confronto tra modelli di società alternative, sulla concezione di modi di vita dissimili e sulla scelta di valori sociali diversi o quantomeno interpretati in modo difforme.
Le ideologie erano e restano un contenitore di progetto delle forme in cui si sviluppa una aggregazione umana.
Venute meno o condannate dalla semplificazione del pensiero ad essere surrogate da nuove formule di aggregazione hanno generato un vuoto che sta producendo effetti devastanti.
La società attuale ha sostituito le dottrine ed i filosofi del pensiero politico con i dispensatori di slogan.
Ci siamo abituati, anche per l’abitudine contratta dal massiccio dosaggio quotidiano di pubblicità mediatica, a consimili forme anche per la comunicazione politica.
Messaggi semplici, spesso inorganici, battute ad effetto, sovente contraddittorie, esempio di un pensiero debole, che mirano a richiamare, talvolta in modo fraudolento, l’attenzione del pubblico votante.
Questa fase “Carosello” dell’informazione politica, che ahinoi dura da vari decenni, è testimoniata anche dal pressappochismo con cui gli slogan vengono annunciati: argomenti effimeri, soluzioni impraticabili, giustificazioni puerili e stantie, definizioni contrarie non solo alla logica ma addirittura al dizionario della lingua italiana.
Questi messaggi, poi, sono infarciti da una buona dose di falso perbenismo e di codardia: nessuno si etichetta più come destra o sinistra, ammesso che vogliano ancor dire qualcosa, ma tutti antepongono la parola “centro”.
Un velo della vergogna, una reticenza alle asperità del proprio pensiero per attrarre il più ampio spettro di consenso che, forse, si sentirebbe troppo etichettato da una collocazione netta.
Fortunatamente sembra in calo la definizione “moderati” forse perché troppo in voga rispetto al bere sia per evitare nefaste conseguenze, che essere soggetti a sanzioni rilevate con l’etilometro.
In questo contesto sguazzano i c.d. Opinion leader che autocelebrando le loro genialità suppongono che la diversità di pensiero, rispetto alle loro convinzioni, sia indizio di stupidità, inadeguatezza morale ed intellettuale.
Sono i sacerdoti del purismo morale, religione spesso praticata dai falsi e dai venditori di fumo.
Di fronte a questo bailamme, in assenza di qualsiasi progetto, coerenza, idee, dignità, il confronto politico, di fatto, è divenuto in una sorta di scontro tra tifoserie in cui le aggregazioni avvengono non per sostenere un modello di società, ma per appagare bassi interessi individuali, per mascherare problemi veri, quando non addirittura per contrastare qualcuno.
Il fenomeno “sardine” è emblematico, non si era mai visto, sin ora, un movimento di opposizione all’opposizione.
Mancando un’idea nuova di società, mancando genialità politica, ci si schiera con il più simpatico, il più accattivante, il piacione, ci si schiera con chi ci propina il messaggio più forte, più commovente, spesso strumentalizzando l’immagine di bambini e anziani, o di chi si fa paladino di falsi pauperismo e onestà.
Non vorremmo dimenticare l’attrazione spesso esercitata dagli “indignati” di comodo categoria annoverata tra i custodi della “doppia morale”.
Anche se non c’è da augurarselo crediamo che sarà sempre peggio, l’unico rimedio è una catarsi del sistema, una rivoluzione del peggio che possa far generare dalle ceneri della distruzione una società migliore.
Una nuova ideologia.
28 dicembre 2019 – Milano –