REGOLARE senza IMPEDIRE
Tento di farmi comprendere
by Giorgio De Biasi
“Dopo la libertà di movimento, adesso anche la libertà di espressione viene controllata dal governo. Chi ca**o sono questi Nuovi Censori???? Una squadra contro le Fake News??? Ma la Costituzione vale ancora?”
Questo è uno de tanti post circolanti in rete con il COVID19 che ha indotto moltissime persone ad esternare su Facebook il proprio pensiero in ordine all’andamento dell’infezione e sulle decisioni politiche assunte dal Governo e dalle Regioni.
Di pari passo compaiono su Facebook severe prese di posizione che definiscono molti di questi post come “imbecillità e minckiate vomitate sul web”.
Si evidenzia così un dato certo. L’emergenza Coronavirus ha rimesso prepotentemente al centro del dibattito la questione delle fake news. E delle modalità di accesso alle informazioni da parte dei cittadini di fronte al mare senza fine di Internet.
Precisi dati dell’Autorità Italiana per le garanzie nelle comunicazioni, indicano che oggi quasi il 55% degli italiani accedono all’informazione on line prevalentemente attraverso fonti cosiddette “algoritmiche”, in particolare social network e motori di ricerca quali Google, Facebook, Twitter, Instagram, ecc. ecc.
L’argomento, già all’attenzione della politica e del Parlamento sin dal lontano 2018, costringe oggi la politica ad una attenta riflessione su metodi e tempi ritenuti opportuni per porre un freno alle notizie manipolate anche mediante il ricorso ad una limitazione delle libertà personali e del diritto all’informazione.
In attesa delle decisioni che saranno assunte dal Parlamento che sta discutendo la questione all’interno di una Commissione d’inchiesta sulla disinformazione online, possiamo oggi affermare che ognuno di noi è costantemente inondato da notizie giuste ed esatte ma anche da notizie non veritiere, da problemi amplificati e percezioni che diventano strutturali.
Questa inondazione spesso alimenta incertezze e paure, così come genera contrapposizioni che spesso si arroccano su sé stesse creando “il nemico” da combattere.
Su questo tema non è possibile minimizzare o ingrandire poiché la minaccia al diritto all’informazione è un pericolo reale che corrono le democrazie liberali.
Si apre così l’esigenza delle “élite” culturali e sociologiche di analizzare questo complesso fenomeno che nasce, cresce e si sviluppa per effetto del rapporto che si crea fra popolo e rete.
Ne avevo già scritto parlando di Fake News all’interno di una ricerca tendente a comprendere se nella rete potesse esistere, esista o potrà formarsi un insieme di regole morali che disciplinano l’esercizio di una determinata attività imprenditoriale quale in effetti è la rete.
Avevo già scitto che gli Italiani sono tutti “Commissari tecnici della nazionale” che spiegano ai quattro amici del bar come fare per vincere o perdere una partita. Oggi quei quattro amici del bar sono diventati migliaia grazie ad internet. I tavolini del bar si sono moltiplicati all’inverosimile su tutta la piazza, su tutta la nazione, su tutto il mondo grazie a Internet.
Internet ha moltiplicato e accelerato ogni cosa. Ha creato un sistema in cui la comunicazione on-line diventa asset da sfruttare per acquisire profitto economico.
Basti qui pensare che solo dieci anni orsono comunicare significava accedere la TV, aprire un giornale, ascoltare la radio. Oggi siamo passati a migliaia di siti, di mail, di sms, di messaggistica di ogni tipo, di notifiche di ogni ente e di privati, di decide e decine di applicazioni algoritmiche che registrano i nostri spostamenti, la spesa che facciamo, le nostre abitudini ed anche i nostri desideri.
Basti qui registrare una realtà del WEB che appare ai nostri occhi quando al termine di una ricerca per un oggetto qualsiasi notiamo comparire sul nostro profilo Facebook la pubblicità di quel frigorifero che avevano cercato in internet.
Internet impone ai suoi frequentatori di postare le loro foto e quelle dei loro figli, di scrivere, di dare opinioni di ogni tipo su ogni argomento, di commentare anche con violenza le opinioni degli altri al fine ultimo di affermare la propria verità.
Internet consente ai suoi frequentatori di dialogare liberamente anche fino all’insulto personale con i politici, gli scienziati, i leader dei partiti, così come si fa nelle assemblee di condominio.
Non facciamoci illusioni. Quando cerchiamo notizie lo facciamo tramite GOOGLE, quando comperiamo lo facciamo con AMAZON, i nostri post finiscono su FACEBOOK, le foto su INSTAGRAM, le chat su WHATSAPP e MESSENGER. Tutti questi algoritmici strumenti sono tutti riconducibili ad un solo uomo Mark ZUCKERBERG ed a poche altre persone.
Se GOOGLE, AMAZON e FACEBOOK trovassero un accordo per farmi tacere, questo mio post non vedrebbe mai la luce né sarebbe pubblicato su di un quotidiano, a meno che, sempre a meno che, su di esso con si consolidi il consenso di una vasta parte di popolo al momento difficile se non impossibile da raggiungere.
GOOGLE, AMAZON e FACEBOOK null’altro sono che “monopoli dominanti”, vere e proprie industrie della comunicazione on-line.” In buona sostanza sono “ponti a pagamento di pedaggio” appositamente costruiti per consentire a tutti di attraversare il fiume, ovvero consentire a tutti di espandere la propria verità superando il divario tra “élite culturale e popolo”.
La domanda che quindi ci si deve porre oggi, ancor prima di ridurre gli spazi di libertà delle persone è questa: “Se anziché parlare di GOOGLE, AMAZON e FACEBOOK stessimo parlando di giornali, televisioni, semplici attività produttive, questa concentrazione di potere, questa mancanza di concorrenza, sarebbe tollerata?”
Certo che NO. Sarebbero state, come lo sono state, subito promulgate leggi e leggine di garanzia. Sarebbero stati subito attivati meccanismi di controllo e vigilanza.
L’assenza di meccanismi di controllo e vigilanza hanno consento ai giganti di un internet così governato di divenire veri e propri stati sovrani nelle cui mani noi mettiamo gran parte del nostro sapere, della nostra intelligenza e delle informazioni di cui veniamo a conoscenza.
Questa obiettiva condizione in cui viviamo con l’utilizzo indiscriminato delle informazioni che noi forniamo consente ai “giganti” del WEB di influire sui nostri comportamenti e di
modificare, persino, i nostri sentimenti.
Possiamo ora tornare all’inizio del pensiero qui esposto per affermare che ancor prima di
inveire contro le Facke News, le imbecillità o le minckiate vomiate sul WEB dobbiamo chiederci se è arrivato il momento di “Regolare Internet” con regole chiare e certe ben sapendo che, così facendo, rischiamo di mettere in moto una rivoluzione culturale di vasta portata.
Si tratta di comprendere se sia opportuno rimettere la comunicazione ed il sapere collettivo nelle mani di una “élite culturale” che ha un costo anche economico (vedi costo dei giornali anche on-line) per coloro che vi accedono o se viceversa lasciarla alla gratuità non solo economica della rete.
Mai nella storia dell’informazione una rivoluzione come quella di Intenet aveva generato effetti così profondi del livello sociale. Profondi a tal punto che anche coloro che l’hanno generata oggi pensano che qualcosa non abbia funzionato e che sia ora di correre ai ripari.
Ma questa è pura illusione. Correggere gli errori appare impossibile per coloro che, come noi, sono prigionieri della rete. Restiamo atterriti al sol fatto di non comprendere appieno quello che abbiamo davanti senza sapere neppure immaginare le possibili soluzioni.
La prima cosa da fare è la ricerca di ogni legittimo strumento finalizzato all’identificazione ed all’isolamento di coloro che incitano alla violenza di qualsiasi fattispecie sia. Alla ricerca di idonei strumenti per affrontare e risolvere il problema dell’anonimato che internet consente, ma anche e soprattutto di immettere nel web appositi algoritmi capaci di ancorare a standard minimi di trasparenza chi opera in internet poiché, se oggi ci è data la possibilità di seguire il percorso che fanno le banane prima di arrivare sulla nostra tavola, non riusciamo a sapere da dove arrivano le informazioni che potrebbero cambiare la struttura di uno Stato, le sue leggi o la sua stessa democrazia.
Bisogna inoltre verificare se esistano correlazioni tra la disinformazione online e i cosiddetti ‘discorsi dell’odio o hate speech’, ovvero discorsi di incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e ancora se e in quali casi la disinformazione online possa aver destato allarme presso la popolazione, condizionato la libertà dell’opinione pubblica o istigato campagne d’odio.
Dobbiamo altresì esaminare un mondo in cui la combinazione esplosiva tra globalizzazione e rivoluzione tecnologica ha finito per togliere certezze ad una importante maggioranza, non più silenziosa, che ha visto il progresso raccontato in TV e sui giornali finire per migliorare la vita di pochi a discapito delle incertezze di molti.
Nel tentativo di farmi comprendere da coloro che, ergendosi a giudici, emettono sentenze sul dire dei frequentatori di Facebook e del WEB devo riconoscere che è ormai divenuto necessario formalizzare poche e semplici regole capaci di difendere i diritti umani e collettivi.
Regole capaci di difendere le conquiste che la democrazia parlamentare ha consegnato al nostro Paese ma anche quelle libertà che, proprio grazie al WEB, abbiamo ottenuto.
Dobbiamo “regolare” senza “impedire” isolando e condannando la sola “violenza” di qualsiasi fattispecie essa sia