LA DISONESTÀ DI UNA RISPOSTA.
di Luciano MENEGHETTI
Il problema non è il rifiuto dei nomi.
La terna di candidati proposta dal centrodestra per la Presidenza della Repubblica poteva, come è stato, benissimo essere respinta.
Fa parte della legittimità della discrezionalità politica, decidere se accettare o rifiutare dei nomi da votare.
Si può essere contrari o d’accordo sul fatto che le figure di Pera, Moratti e Nordio, siano idonee o meno a ricoprire l’alto incarico.
Ci sta. Fa parte della democrazia.
Ciò che non è accettabile è la motivazione del rifiuto.
Nulla a che vedere con il merito delle idee o delle posizioni sostenute negli anni dai personaggi proposti, che anzi sono stati definiti dal segretario del PD, con “peloso” finto riguardo, persone di qualità.
Bontà sua.
No. Il rifiuto è stato giustificato dal centrosinistra in un semplice modo, che è difficilmente comprensibile per il pensiero liberale: “Bisogna trovare un nome “super partes” condiviso”.
Si tratta di una giustificazione che cela la solita insopprimibile tendenza del centrosinistra ad affermare la propria “superiorità morale”, anche quando i numeri, che sono il cuore della democrazia liberale, non permettono ad esso di dettare le regole del gioco.
Il non detto della frase è: non conta se una figura sia valida in sé a fare il Presidente della Repubblica, perché questo deve essere “super partes” e, se così è come è, non può provenire dall’area di centrodestra, perché la destra non può, per la sinistra, “ontologicamente” esprimere il Presidente della Repubblica italiana, “antifascista” e “nata dalla resistenza”.
Siamo sempre lì.
Alla “vulgata” dell’antifascismo militante.
E attenzione.
La suddetta presa di posizione contiene tre non verità, che solo gli ex comunisti, con la loro “doppiezza togliattiana” e con il loro uso magistrale delle parole, possono cercare di far passare per ragionevoli.
Nessun uomo è “super partes”. Il solo affermarlo è una contraddizione in termini. Ogni uomo ha idee, è portatore del proprio io e quindi nelle scelte non sarà mai imparziale in senso assoluto.
Pertanto usare le parole “super partes” è la foglia di fico per nascondere lo scopo opposto: la tutela della propria di parte.
Secondo: il paradigma del Presidente “super partes” per il centrosinistra, visto che esso si rifà al passato, sarebbe Napolitano, esponente dell’ex partito comunista, già ammiratore delle sorti splendide e progressive dello stalinismo, sostenitore della repressione sovietica della “primavera” ungherese del 1956 e favorevole all’esecuzione sommaria del suo fautore Nagy.
Per non parlare di quanto è stato “super partes” nel far cadere il governo Berlusconi nel 2011, mettendosi d’accordo con Fini e con le consorterie europee.
Terzo: se il metodo di ricercare il presunto Presidente “super partes” è quello di “condividerlo” nel chiuso di una stanza, buttando via le chiavi, a pane e acqua finché non esce, come ha dichiarato oggi il segretario del PD, ciò vuol dire una cosa sola.
Non si esce da quella stanza finché non si accetta l’esclusione di figure che provengano dall’area di centrodestra.
La Repubblica “antifascista” lo impone.
Questo è il messaggio e la pietra angolare istituzionale su cui per il centrosinistra, non solo oggi ma sempre in Italia, si deve basare l’elezione del Presidente della Repubblica.
Una posizione che, lungi dall’essere “super partes” ed istituzionale, è ciò che di più politico, fazioso ed antidemocratico si possa pensare.