di Nicola IZZO
con la collaborazione di Stefano Ponzi e Claudio Castellari
Nella precedente riflessione sostenevo che il Paese ha tre grandi macro-problemi:
• L’economia che è la sintesi di Lavoro, Fiscalità, Previdenza, Sviluppo e Impresa;
• La sicurezza, sintesi di giustizia, civile convivenza e sviluppo democratico;
• Il ruolo della Famiglia in cui convergono: l’istruzione, l’educazione, la scuola;
• E, giusto per non collocarlo tra i problemi della sicurezza e dargli un respiro più sociale, l’immigrazione.
Tra i vari settori appena accennati passiamo, seppur velocemente, ad esaminare l’economia, il contenitore delle politiche del Lavoro, Fiscali, Previdenziali, dello Sviluppo e dell’Impresa.
Sono settori apparentemente diversi nella denominazione, ma estremamente integrati se si vuole disegnare una politica economica complessiva.
Per creare le condizioni ottimali in questi settori è premessa irrinunciabile quella di promuovere modelli di gestione che, sia nel pubblico che nel privato, si ispirino a criteri etici, meritocratici e di rendimento.
La produzione deve essere garantita da una corretta concorrenza nel mercato del lavoro, contrastando l’abusivismo, l’evasione, l’elusione fiscale, la corruzione e tenendo ben presente che non possono essere solo gli inasprimenti sanzionatori a garantire il successo nel contrasto alle devianze ma anche una politica di premialità.
La media e piccola industria che rappresenta l’ossatura produttiva ed occupazionale del Paese, che per qualità, creatività ed innovazione è tra le migliori del mondo, non ha la giusta attenzione per i suoi problemi.
Le imprese artigiane che producono qualità e bellezza esclusive sono tutte lasciate a sé stesse, senza alcun incentivo né alcun riconoscimento.
Le partite IVA, in cui si riconosce gran parte del mondo delle professioni e dei prestatori d’opera indipendenti, sono falcidiate dal sistema fiscale che assorbe i guadagni e riduce il potere d’acquisto della classe media.
Il nostro è il paese più celebrato al mondo per le sue bellezze naturali, paesaggistiche, architettoniche, artistiche. Più del 50% del patrimonio artistico dell’Umanità è disseminato tra le alpi e le propaggini più meridionali: penso alle Alpi bellunesi, ai musei piemontesi, ai piccoli comuni della Toscana, a Roma, la costa amalfitana, a Mozia, Agrigento, Krito, il Salento, elenco non esaustivo delle bellezze d’Italia, ebbene, nonostante questo “capitale” non esiste una politica nazionale per il turismo.
Attenzionare questi mondi, sviluppare il turismo e questo tipo di industrie con incentivi per le attività commerciali, imprenditoriali e artistico – museali, puntando su di loro e aiutarli ad essere competitivi per affermarsi come principali fattori per la crescita economica deve essere uno degli obiettivi prioritari di una aggregazione politica che non guardi più alle ideologie ma alle cose da fare.
Il turismo rappresenta per l’Italia l’equivalente del petrolio per altri Paesi.
Forte della presenza sul territorio di 4.026 musei, gallerie o collezioni, 293 aree e parchi archeologici, 570 monumenti e complessi monumentali, l’Italia è una delle maggiori attrazioni mondiali. Entro i suoi confini si colloca il 4,9% dei siti Unesco.
Nel 2019 sono stati 65 i milioni di turisti non italiani a visitare il nostro territorio, posizionandoci al quinto posto mondiale per presenze.
L’Italia è anche prima in Europa per quota di esercizi ricettivi e seconda per quota di clienti di residenza estera.
Sono circa 1,4 milioni gli addetti che lavorano nel settore, con 33.000 esercizi alberghieri e 183.000 esercizi extra alberghieri.
Secondo le misurazioni del 2017, il valore aggiunto generato dall’insieme delle industrie attive nelle attività economiche riconducibili al turismo è stato di 210 miliardi di euro, pari al 13,4% del totale delle attività industriali. Sul Pil nazionale il turismo ha generato un valore aggiunto del 6%.
Nell’analisi del 2019 i numeri suggeriscono ancora il grande perso economico del comparto, tanto da segnalare un record con 436,74 milioni di presenze sul territorio (+1,8% rispetto al 2018) e con 131,38 milioni di turisti (+2,6%) rispetto al 2018).
Davanti a numeri talmente imponenti appare evidente che lo Stato dovrebbe massicciamente investire nella competitività delle infrastrutture: il turismo è infatti collegato alle infrastrutture, il turista medio non va in un paese dove i treni sono in ritardo, nei centri storici è difficile parcheggiare, le autostrade sono perennemente intasate, gli aeroporti perdono regolarmente le valigie e nessuno fa qualcosa, i musei spesso sono inspiegabilmente chiusi. Tutti questi problemi sono risolvibili – se mai lo sono, cosa di cui dubito fermamente data la struttura del paese e la sostanziale impunità di chi fa danni – con investimenti massicci in ferrovie, autostrade, aeroporti, ristrutturazioni dei centri storici. Troppi soldi che non ci sono e che dovrebbero essere dati ad un paese irriformabile, con una classe politica che insegue l’effimero, incapace, dove i processi civili durano in media oltre 7 anni e dove l’imposizione fiscale è tra le più elevate del pianeta. Nessun fondo di investimento investirebbe in un paese che presenta queste caratteristiche.
Più impresa produttiva e meno finanza speculativa.
Problema non secondario è la detassazione del costo del lavoro, per consentire agli imprenditori di assumere più dipendenti e corrispondergli salari adeguati.
E poi la falcidia fiscale sui salari che impoverisce tutti e penalizza i consumi.
Per questo è necessaria la previsione di una limitazione costituzionale del prelievo fiscale complessivo non superiore al 40% del reddito.
C’è bisogno di una riforma fiscale che consenta la detrazione dell’iva ai privati rendendo incentivante la pretesa di scontrini e fatture.
Questo è lo strumento vero per una lotta seria all’evasione.
L’ultima riforma fiscale organica è del 1972, quella istitutiva dell’Iva, dell’Irpef e dell’Irpeg per intenderci.
Non è pensabile una riforma fiscale: sono troppe e troppo vaste le diverse stratificazioni tributarie e fiscali relative a leggi, regolamenti, pareri delle commissioni tributarie, informative dell’Agenzia delle Entrate, circolari dei Ministeri economici e chi più ne ha più ne metta. L’attuale sistema tributario (anche se la locuzione di sistema è davvero impropria in questo caso) è semplicemente irriformabile. Sarebbe necessario fare davvero tabula rasa e riscrivere da capo il tutto, azzerando completamente il pregresso. Chiaro che una rivoluzione del genere, qui non si parla più di riforma, necessiterebbe di diversi anni prima per crearla e poi per attuarla operativamente.
Ne è la prova l’atteggiamento dei vari Governi che si sono succeduti in questi cinquant’anni, i quali hanno provveduto a dei “ritocchi” del sistema, senza una visione globale, talvolta inspiegabilmente premiale per alcuni settori produttivi.
Parimenti in questo “mare magnum” di norme di ogni tipo, gli adempimenti a carico del contribuente si moltiplicano di anno in anno per supplire alle carenze organizzative dell’Agenzia delle Entrate,
Secondo il tax gap elaborato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel 2019 (ultima annualità disponibile), l’evasione fiscale presente nel nostro Paese sarebbe scesa a 80,6 miliardi di euro. Se utilizziamo la stessa metodologia di calcolo anche per gli anni precedenti, negli ultimi 5 anni gli 007 del fisco hanno “recuperato” ben 13 miliardi di euro. A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia di Mestre.
Ma attenzione: il grande evasore non è Gennaro il pizzaiolo oppure Marco l’idraulico, che pure contribuiscono per circa 9 miliardi nel variegato universo dell’evasione fiscale.
I rimanenti presunti 71,4 miliardi sono direttamente riconducibili ai Grandi Gruppi, che possono permettersi rapporti finanziari ed economici in Paesi a fiscalità privilegiata trasferendovi materia imponibile dall’Italia.
Infine, far emergere i redditi elevati attraverso una revisione delle aliquote fiscali che sia anche premiale nel senso che oltre un limite di reddito diventi progressivamente discendente.
Un meccanismo virtuoso che diventa un sistema premiante condiviso, per cui tutti traggono vantaggio dal pagamento delle tasse e questo consentirebbe anche di orientare il meccanismo di controllo.
Queste sono considerazioni che ogni Amministratore Pubblico ogni giorno dovrebbe recitare come un Mantra, immedesimandosi in quella fattispecie giuridica detta “il buon padre di famiglia”.
Queste cose, indipendentemente dall’etichetta politica, sono cose da fare, da realizzare Insieme.