di GUIDO BROICH
dall’Informatore Vigevanese dell’8 febbraio 2024.
ll cibo è un bene fondamentale, come la casa, la libertà di movimento e la sicurezza. Dai tempi dei Romani uno dei compiti principali dello Stato è stato garantire disponibilità e qualità del cibo.
Si importavano spezie e beni di lusso, ma la proverbiale pagnotta e, almeno di domenica, la carne, dovevano essere prodotte localmente, certi e controllati da leggi locali.
Vedendo in tutta Europa le strade invase dai trattori degli agricoltori, che protestano contro una politica di progressiva riduzione della produzione alimentare europea interna, lascia pertanto per lo meno sgomenti davanti a tanta assurdità. Ma siccome nulla avviene per caso, ci si chiede il perché di questa politica suicida.
La risposta ufficiale è semplice: ridurre l’inquinamento ambientale.
Dopo riscaldamento e automobili, la narrativa ufficiale è arrivata al tema dei gas intestinali delle vacche.
Bisogna salvare il pianeta e allora noi Europei, che partecipiamo all’inquinamento globale mondiale in misura minima, visto che produciamo sempre meno, dobbiamo smetterla di coltivare il grano, allevare vacche e maiali, riscaldarci d’inverno e andare in giro liberamente con le nostre automobili.
L’inquinamento ambientale è certamente un argomento importante per la salute, dopo il 1970 le misure di contrasto, sia agendo sulla composizione e scelta dei combustibili che sul loro uso per riscaldamento e mobilità, ha ridotto oggi in modo drastico, quasi a livelli preindustriali, il problema.
A Milano negli anni 80 le concentrazioni di biossido di zolfo erano pari a 400 microgrammi per metro cubo, oggi sono 5-10 microgrammi per metro cubo e le concentrazioni medie di particolato da 160 microgrammi per metro cubo oggi
sono scese in media a 40 microgrammi per metro cubo.
Del resto della proverbiale nebbia in val padana sono rimasti solo i resti rispetto a quando eravamo giovani! Questo eccellente risultato, dovuto principalmente al bando dei combustibili fossili pesanti per il riscaldamento e autotrazione collettiva e commerciale, non ha però evidentemente soddisfatto tutti gli interessi coinvolti. Un abbassamento progressivo e mirato dei limiti e l’inserimento di sempre nuovi parametri di inquinamento ha permesso che l’argomento abbia assunto, in tutta Europa – e sia chiaro praticamente solo in quella! – aspetti di crociata quasi religiosa. Si è trasformato in giustificativo per ogni forma di divieto, limite, restrizione o tassa.
Ormai la tutela della salute non basta più, ci si è allargati a pretendere un salvataggio del “pianeta” dal “cambiamento climatico“, un concetto in cui trova spazio un po’ tutto, dalla rottamazione forzata delle automobili, a quella delle caldaie, da interventi costosi sugli immobili ad una progressiva riduzione della mobilità individuale.
A parole un nobile progetto che crea però vincoli costosi all’economia ed alle libertà individuali solo in Europa.
Tutto il resto del mondo, e soprattutto i grandi paesi produttori di inquinamento atmosferico come Stati Uniti, India e Cina, partecipano in modo più formale che sostanziale. Inoltre gli interventi sono sbilanciati verso alcune fonti, obbligare alla rottamazione di automobili ancora perfettamente funzionanti impatta sicuramente in modo maggiore sull’inquinamento ambientale tramite lo smaltimento dei rottami, di quanto fa naufragare con la differenza con le emissioni con le Euro 6, durante la vita residua. Intanto compriamo automobili da paesi come Estremo Oriente e India, che ci mandano le automobili nuove ma non smaltiscono quelle
rottamate.
In questo scenario la Unione Europea ha sviluppato uno schema ideologico chiamato “green deal“, che sotto la giustificazione di “salvare il pianeta” (da soli), sta invadendo ora anche l’area del nostro cibo e pertanto la nostra salute.
La capacità globale di produzione di cibo supera di gran lunga le necessità mondiali, il problema sta tutto nella distribuzione non equa delle derrate alimentari.
La eccessiva produzione in certi paesi a basso costo del lavoro e fiscale rischia inoltre di far crollare i prezzi. L’uso del “biodiesel” nacque non tanto dalla volontà di inquinare meno, ma dalla necessità in Brasile di tenere elevati i prezzi del grano, destinando la parte in eccesso alla produzione di alcool, poi venduto come additivo
al carburante sotto il nome di “biodiesel”.
Oggi, con i Trattori in strada in tutta Europa, nessuno può più ignorare che questa ideologia del “green deal” di Bruxelles è arrivata al cibo. Grandi ditte producono carne sintetica che chiedono di vendere, ampie aree del mondo producono grano, che invece di essere distribuito dove manca, deve essere venduto in Europa dove
costa di più o trasformato nel più costoso “biodiesel” e come ciliegia sulla torta arrivano le piaghe d’Egitto, cavallette e altri insetti, che da punizione divina sono stati trasformati per decreto in cibo al posto della nostra fiorentina.
Da anni le politiche agricole europee puntano verso una riduzione della produzione nostrana, spingendo con tasse e vincoli spesso ridicoli, i costi produzione sopra la soglia della competitività di mercato.
Tutti a favore dei produttori extraeuropei che possono smaltire la loro sovrapproduzione alimentare in Europa, dove è possibile realizzare prezzi elevati.
In ultima analisi, sia che il cambio climatico mondiale sia da ricondurre ai normali cicli solari e geologici o alle automobili private europee e i gas intestinali delle vacche, il fatto è che in Europa si sta delineando una situazione gravissima.
Da una parte ci saranno cibi nostrani, sempre più rari e cari, e dall’altra alimenti a basso prezzo, importati e/o sintetici.
Ci sarà una mobilità individuale libera costosissima riservata a pochi e una mobilità collettiva a costi ridotti. La carne e le proteine naturali prodotte in Europa saranno privilegio di pochi facoltosi, lasciando alle masse una produzione alimentare di seconda scelta, a costi più contenuti.
Per ottenere questo si abbandonano i campi strappati alle foreste ai tempi di Etruschi e Celti e scompaiono le mandrie, sostenendo la dannosità dei loro gas intestinali.
La rivolta dei Trattori è un segnale importantissimo che va ascoltato, non con misure tampone e di facciata, ma con una cambiamento di rotta strutturale. Bisogna rompere la deriva verso interessi economici globali dei quali noi Europei siamo solo delle sottomesse vittime e che ci conducono verso una società globalizzata sempre più divisa, polarizzata e meno equa.
I Trattori, presenti in tutti le strade d’Europa in una protesta mai vista dal 1945 ad oggi sono un atto di civiltà encomiabile. Speriamo che il messaggio venga compreso dal gruppo estremista degli Eurocrati del “green deal”.