di Giorgio De Biasi
Nelle “Vie Crucis” che si svolgono da anni davanti al romano Colosseo, la Chiesa Cattolica, o meglio il Papa, affida il trasporto della “Croce” verso il “Golgota” nelle mani di persone che appartengono a popoli che vivono la sofferenza.
C’era da aspettarselo che Papa Francesco chiamasse in questa Via Crucis russi e ucraini a portare la rispettiva “Croce” per poter testimoniare, al mondo che segue la sacra celebrazione, le quotidiane sofferenze che il popolo ucraino ed il popolo russo patiscono a causa della guerra in corso.
Per portare la croce dell’ultima stazione Papa Francesco ha chiamato, sotto il sacro simbolo cristiano, una famiglia ucraina insieme a una russa riconoscendo, a mio avviso, che la sofferenza è nel cuore, non dei Governi e degli Stati che provocano o subiscono la guerra, ma è nel cuore delle persone dei due popoli che la subiscono.
I cattolici, che fondano la loro fede nel “Cristo Risorto”, ben sanno che il detto popolare “Ad ognuno la sua croce”, racchiude quella profonda verità che ci dice: ognuno nella sua vita ha i suoi guai, le sue torture quotidiane, i suoi problemi, le sue rogne, le sue ansie ed il suo dolore.
Ognuno si porta sulle spalle le sue sofferenze quotidiane, come Cristo portò sulle sue spalle la croce alla quale venne inchiodato.
Ma questa verità popolare non sembra essere condivisa dall’ambasciatore ucraino Andrii Yurash che twitta: “L’Ambasciata capisce e condivide la preoccupazione generale in Ucraina e in molte altre comunità sull’idea di mettere insieme le donne ucraine e russe. Ora stiamo lavorando sulla questione cercando di spiegare le difficoltà della sua realizzazione e le possibili conseguenze”.
Forse l’Ambasciatore (speriamo non gli ucraini cattolici) non ha ancora compreso che non si tratta di una sfilata nella quale due bandiere di due stati camminano l’una accanto all’altra.
La “Via Crucis” è un cammino verso il Golgota della resurrezione lungo il quale ucraini e russi trascinano la loro croce di sofferenza, lungo il quale il popolo ucraino e quello russo trascinano la loro sofferenza.
Ma forse è l’iniziativa papale, decisa tanti anni fa, che risulta impropria.
Lontano nel tempo, quando ero ragazzino, la croce era portata dal “Prete” che in nome e per conto di Gesù testimoniava la sua sofferenza.
Dietro a quella “Croce” portata da “Gesù” c’erano tutti i credenti, con le loro sofferenze ma anche con i loro peccati che sarebbero stati perdonati e riscattati dal Cristo risorto.
Si lasci la libertà, non a Putin o Zelensky, ma ad una donna ucraina e ad una donna russa, di portare sotto il peso della croce di Gesù, le loro sofferenze.