La riforma “Cartabia” del processo penale dovrebbe essere una buona riforma.
Ogni legge va valutata alla prova dei fatti, ma a una prima lettura e alla luce del suo obiettivo, quello di ridurre il numero e la durata dei processi, si può sicuramente dire che le luci superano le ombre.
Tra queste ultime vi è però, secondo me, l’introduzione della punibilità a querela di parte del furto aggravato.
In primo luogo, è pericoloso prevedere che per punire un reato che, normalmente, è compiuto da “professionisti”, sia necessario la volontà “revocabile” della persona offesa, in questo caso del derubato.
L’esclusione della procedibilità d’ufficio del furto aggravato, infatti, potrebbe esporre la vittima a intimidazioni dei professionisti, autori del reato, affinché non presenti querela o perché la ritiri.
È noto come ormai già capitava spesso che proprietari di case svaligiate trovassero al loro rientro un biglietto con su scritto: “Non presentare denuncia, se no la prossima volta distruggiamo tutto”.
Ora questa “pratica” potrebbe svilupparsi ed estendersi al momento successivo alla presentazione della querela, per ottenerne con minacce il ritiro e garantirsi l’impunità.
D’altra parte, le parti offese “tengono famiglia” e chi glielo fa fare di ergersi a “Don Chisciotte” della repressione penale, col rischio di guai peggiori di un furto?
Il secondo aspetto problematico potrebbe essere quello del fermo dei ladri in flagranza del furto o della loro individuazione successiva.
Se non si trova la parte offesa per fargli presentare querela o quest’ultima, magari intimidita, non la presenta, i ladri vanno rilasciati e, comunque, non perseguiti.
Per questo ritengo che la perseguibilità a querela di parte andasse limitata ai reati normalmente commessi da persone non professionisti del crimine, perché quest’ultime hanno capacità dissuasive e intimidatorie tali da influenzare le vittime del reato.
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