A cura di: Stefano Ponzi e Claudio Castellari
Dottori commercialista
Visti i tempi che stiamo vivendo ed i fenomeni che ci investono ed ancor più ci colpiranno nel prossimo futuro, abbiamo pensato di analizzare con compiutezza anche di curiosità storiche un problema che tutti avvertiamo con preoccupazione: L’Inflazione.
Inflazione: Definizione
L’inflazione è l’aumento progressivo del livello medio generale dei prezzi, ovvero la diminuzione progressiva del potere di acquisto di una moneta, in un certo periodo di tempo. La conseguenza prima ed immediata è la diminuzione del potere d’acquisto dei consumatori. In altre parole, è la velocità con cui il livello medio dei prezzi cresce nel tempo. Il fenomeno può avere molteplici cause, sia reali sia monetarie.
L’inflazione nella storia
Storicamente l’inflazione è spesso stata collegata all’incremento della quantità di moneta in circolazione in un dato periodo di tempo. Le prime testimonianze scritte al riguardo fanno riferimento all’impero accadico (3150 a.C.), dove, in un’economia basata sul baratto come quella del tempo, un incremento incontrollato dei prezzi generò prima anarchia e poi il crollo dello stesso impero, questo anche a seguito dell’arrivo e conseguente invasione di una popolazione esterna. Al tempo del faraone “eretico” Akhenaton e dei suoi successori (ca.1315 a.C.), il venir meno dello sfruttamento delle miniere d’oro della Nubia generò una perdita di controllo del potere centrale sulle provincie più lontane dell’impero, come la stessa Nubia e la Palestina.
Un altro caso storicamente testimoniato fu la scoperta di miniere d’argento nella odierna Spagna da parte delle colonie commerciali fenicie là insediatesi. Tale scoperta portò prima ad una importazione massiva di argento in Medio Oriente (ca.630 a.c.), da cui una veloce diminuzione del valore dell’argento in tutta l’area dell’impero assiro ed il conseguente veloce incremento dei prezzi. Il presidio dei porti fenici di Tiro Sidone Biblos da parte del governo centrale non potè impedire l’impennata dei prezzi dei generi di prima necessità, da cui la conseguente anarchia e guerra civile in tutto il territorio dell’impero assiro-babilonese. L’inflazione molto elevata e la contemporanea elevata tassazione per il mantenimento della burocrazia e dell’esercito falcidiò i guadagni degli agricoltori e degli artigiani: la mancata risoluzione del perdurante problema inflattivo fu una delle cause della mancata partecipazione popolare alla difesa contro l’arrivo dei Persiani e la conseguente fine dell’impero assiro (ca.580 a.C.).
Anche durante la Guerra del Peloponneso (431 – 404 a.C.) tra Atene e Sparta si verificò un periodo di grave inflazione associata a recessione a causa del perdurare della guerra che sottraeva artigiani ed agricoltori al lavoro ed al commercio. Con la definitiva vittoria spartana, al termine del trentennale conflitto, la città di Sparta si vide letteralmente sommersa di “civette” (dal conio rappresentato sulla dracma argentea ateniese del periodo), il che provocò il sovvertimento dell’economia spartana che vietava l’utilizzo della moneta e la pratica del commercio. Durante il periodo di decadenza dell’Impero Persiano, le continue guerre intestine che vedevano contrapposti usurpatori all’interno della stessa famiglia regnante, nonché le rivolte autonomiste promosse da satrapi a governo delle varie province dell’impero costrinsero all’emissione di notevoli quantitativi di moneta locale al fine di pagare l’esercito di mercenari assoldati allo scopo: come al solito, l’incremento della quantità di monete in circolazione e la elevata tassazione conseguente per il mantenimento di una corte e dell’esercito portarono ad un incremento generalizzato dei prezzi ed ad una “compressione” dei ceti produttivi. La conseguente anarchia fu risolta solo con l’arrivo al potere di Alessandro il Grande ed il nuovo ceto dirigente rappresentato dai conquistatori macedoni.
Anche al tempo dell’antica Roma vi furono diversi fenomeni inflattivi, sempre generati da una elevata spesa improduttiva da parte del governo centrale per pagare l’esercito e/o la burocrazia (la p.a. dell’epoca). Già durante il tardo periodo repubblicano, erano emesse nuove monete di minor peso ma aventi – nominalmente – lo stesso valore: la conseguenza fu che erano richieste maggiori quantità della stessa moneta per lo stesso bene, da cui la evidente generazione di inflazione da parte dello stesso governo centrale. Una situazione ancora peggiore si verificò tra il II secolo d.C. e la definitiva caduta dell’Impero romano d’Occidente, nel 476: durante il corso del basso impero, si verificarono alterazioni talmente marcate dei titoli di metallo prezioso tanto che molti commercianti si rifiutarono di esser corrisposti in moneta per i beni posti in vendita ed anche molti militari preferirono il pagamento in natura per i servizi resi. L’impennata inflazionistica raggiunse negli anni il 1000 %: per decreto, l’imperatore Diocleziano calmierò i prezzi facendo scendere l’inflazione al 100 %.
L’imperatore Diocleziano introdusse un paniere di beni calmierati (fu la prima esperienza del genere nella storia): beni di prima necessità che non potevano, per legge, aumentare di prezzo oltre una soglia fissata dall’autorità politica, col risultato che tali beni non furono più reperibili sul mercato, a meno di non venire pagati a prezzi assai più elevati rispetto a quelli politicamente imposti (con la creazione, quindi, di un mercato nero). Ovviamente – e realisticamente – la legge del mercato non segue le intenzioni del legislatore: la situazione presto peggiorò nuovamente, circa 30 anni dopo l’imperatore Costantino, per pagare i soldati, fu costretto a far coniare il solido aureo (da cui i termini in lingua italiana “soldo”, “soldato”, “assoldare”, etc.): una moneta contenente un buon titolo aureo. Ma le spese dell’esercito, la elevata tassazione, l’asfissiante ed inutile burocrazia, il cambiamento dei valori e l’arrivo di popolazioni che non si riconoscevano nella struttura in cui entravano a far parte portarono al crollo dell’impero nel secolo successivo.
Nel Basso Medioevo i Comuni italiani iniziarono a batter moneta aurea (il fiorino fiorentino, il genovino genovese, etc.), ed anche altri stati europei s’incamminarono su questa strada, basti ricordare il penny argenteo di Enrico II Plantageneto re d’Inghilterra. Ma iniziarono presto anche la contraffazione delle monete (si ricordi l’episodio di Mastro Adamo, citato da Dante nell’Inferno, che falsificò il fiorino fiorentino, sottraendo ben 3 carati d’oro puro al peso della moneta originale, che conteneva 24 carati), la tosatura (limatura) e l’adulterazione (alterazione del titolo aureo) con una conseguente ripresa dell’inflazione. Per coloro i quali alteravano la moneta – in qualsiasi modo e sotto qualsiasi forma – era prevista la pena di morte.
Un periodo di inflazione elevata si ebbe anche dopo il 1352, quando – alla fine del periodo in cui in Europa infuriava la “Peste Nera”,la popolazione si dimezzò rispetto al 1347 e – con la perdita di circa 30 milioni di persone – i contadini poterono spuntare notevoli incrementi salariali.
Anche la “Guerra delle Due Rose”, dal 1455 al 1485, nell’Inghilterra reduce dalla Guerra dei Cento Anni, lasciò uno strascico inflattivo, questa portò al fallimento delle compagnie fiorentine Bardi e Perruzzi.
Il primo grande episodio inflativo della storia moderna avvenne sul finire del Cinquecento e condusse ad un rialzo generalizzato dei prezzi in Europa. Secondo diverse fonti il motivo fu lo sfruttamento spagnolo dell’oro del Nuovo Mondo: in seguito alle depredazioni dei conquistadores a spese delle popolazioni azteche e Inca e all’estrazione mineraria dai giacimenti del Nuovo Mondo, le casse reali spagnole si trovarono a disporre di ingenti quantità di oro, argento e merci preziose che vennero riversate sui mercati europei sia per armare l’esercito e assoldare mercenari che per comprare, da parte della corte e della nobiltà beni e servizi di ogni genere importandoli dalle altre nazioni europee in tale quantità da causare una loro (relativa) scarsità.
Durante la Rivoluzione francese, la moneta semplicemente scomparve e venne sostituita da un titolo denominato “Assegnato” (1792) e garantito con le proprietà immobiliari confiscate alla nobiltà e al clero. A causa dell’eccesso di stampa, il valore dell’Assegnato, nel giro di pochi anni, colò a picco costringendo il governo a imporne il corso forzoso, per poi sopprimere del tutto tale forma di pagamento.
Un ulteriore famoso episodio inflazionistico si ebbe poco dopo la prima guerra mondiale in Germania, durante la Repubblica di Weimar, tra il 1919 ed il 1924. La richiesta di enormi risarcimenti in marchi oro per i danni di guerra innescarono una spirale perversa che portò ad una svalutazione del marco e ad un’inflazione a tassi stratosferici (iperinflazione). Salari e stipendi venivano pagati ogni giorno affinché il loro valore non venisse abbattuto. Tra il giugno e il dicembre del 1922, gli indici del costo della vita salirono di 16 volte. Nel 1923 i francobolli vennero a costare miliardi di Papiermark e per comprare un uovo occorreva una quantità notevole di carta moneta.
La spirale inflazionistica fece sì che la gente, appena veniva pagata, correva a comperare qualsiasi tipo di merce prima di trovarsi con denaro privo di valore reale in mano, aggravando così la scarsità di beni in circolazione. L’iperinflazione venne sconfitta con l’emissione di una nuova valuta. L’iperinflazione di Weimar è spesso direttamente collegata con l’ascesa del Terzo Reich di Hitler, anche se l’iperinflazione fu sconfitta già nel 1924, quindi quasi dieci anni prima dell’avvento del nazismo.
Anche in Italia si verificò un episodio iperinflattivo tra il 1943 e il 1945, durante il periodo della Repubblica Sociale Italiana. In quegli anni, oltre alla perdita di valore della moneta per le cause belliche, si dovettero pure reperire i fondi per il mantenimento delle truppe naziste d’occupazione. Nel 1944 l’inflazione annuale si attestò al 344,47% e raggiunse, nel mese di dicembre, la cifra record del 491,4%.
Cronicamente affetti da iperinflazione furono i paesi latinoamericani nel quarantennio tra il 1950 e il 1990. Paesi un tempo prosperi s’impoverirono in modo drammatico: basti pensare al caso del Cile stremato dagli scioperi durante la presidenza di Salvador Allende con un’inflazione mensile del 120-140% tra il 1972 e il 1973. Anche l’Argentina, tra il 1983 e il 2001 (anno in cui la nazione dovette annunciare il default, “fallimento”), si trovò in una situazione paradossale. Nel solo 1989 l’inflazione era del 200% mensile e del 5.000% annuale.
Dopo il 1991 con la fine del comunismo si è verificata, in Russia e nei paesi dell’Europa dell’Est, una situazione di rapida perdita di valore della moneta: in un mercato essenzialmente chiuso e privo di concorrenza, statalizzato e politicamente calmierato quale quello dell’Unione Sovietica e dei paesi satelliti, l’apertura al regime di libero mercato avvenuta tra il 1991 e il 1995, provocò in alcuni casi il ritorno al regime del baratto in natura ed il rifiuto del pagamento con le monete nazionali. La Russia si risollevò dal baratro finanziario soltanto con la nomina di Vladimir Putin a primo ministro, nel 1998. Da ricordare anche i casi della Serbia tra il 1987 e il 1994 e dello Zimbabwe a partire dal 1984.
Cause dell’inflazione
Diverse sono le cause che possono generare l’inflazione, in generale sono riconducibili a tre fattori principali:
1) Inflazione da domanda;
2) Inflazione da costi;
3) Inflazione da eccesso di moneta.
Esaminiamole una alla volta.
1) Inflazione da domanda
È un eccesso di domanda di beni e servizi rispetto alla offerta. L’eccesso di domanda provoca un incremento dei prezzi dal momento che la produzione di beni e servizi (l’offerta) non riesce a soddisfare le quantità richieste. La spiegazione data al riguardo da Keynes risente del periodo storico in cui fu formulata: il caso Weimar era ben presente, così come la crisi del ’29. In quel particolare momento storico vi era un elevata domanda di beni primari che la produzione offerta di beni e servizi non poteva soddisfare. Purtroppo le attuali politiche poste in essere dagli ultimi governi, con bonus e detrazioni fiscali (es.110%) volte ad incrementare la domanda di prodotti e servizi nel settore edile hanno portato ad una inflazione da domanda, tra l’altro acuita dal fatto che le materie prime ed i semilavorati non sono più prodotti, da anni, in Italia. In questo modo, gli effetti inflattivi e speculativi sono ancora più evidenti, data la dislocazione del sistema produttivo fuori dai confini nazionali ed europei. Nel momento storico attuale, l’inflazione da domanda è collegata all’inflazione da costi.
2) Inflazione da costi
L’inflazione da costi genera un incremento dei costi di produzione. Su questo punto è necessario distinguere bene se l’aumento dei costi di produzione è generato da un incremento del costo delle materie prime e semilavorati oppure da un incremento del costo del lavoro. In un sistema economico estremamente globalizzato come è quello attuale, l’incremento del costo delle materie prime in mercati lontani genera un’inflazione cosiddetta “importata”, a cui i governi locali o nazionali possono fare ben poco. L’economia europea in generale ed italiana in particolare si è infatti trasformata negli ultimi 20 anni circa in una economia commerciale/di servizi da economia manifatturiera/industriale quale era in passato. Il tessuto industriale e produttivo è stato sostanzialmente smembrato a causa della elevatissima imposizione fiscale, questo per pagare rendite pensionistiche ad una popolazione sempre più vecchia e per foraggiare una p.a. poco propensa di adeguarsi al cambiamento e volta a tutelare i propri privilegi. Ad accompagnare il tutto ed a rendere – purtroppo – il quadro ancora più fosco e senza che vi siano immediate vie d’uscita, vi è inoltre un incremento del costo del lavoro dovuto agli elevati oneri fiscali a carico dell’impresa, senza che vi siano corrispondenti servizi da parte della p.a. (esempio: processi lunghissimi e sostanziale assenza di una certezza del diritto in tempi consoni, burocrazia elefantiaca ed iperregolamentativa tanto per citare 2 casi evidenti sotto gli occhi di tutti).
3) Inflazione da eccesso di moneta
È l’espansione incontrollata dell’offerta di moneta da parte delle banche centrali. Negli ultimi anni si è manifestata in particolare sotto la forma del “quantitative easing” o del “whatever it takes” di ben nota memoria per finanziare l’elevato debito pubblico piuttosto che incidere effettivamente tagliando la spesa pubblica: in altre parole non si è coscientemente voluto affamare la bestia, ma anzi gli si è dato ancora più da mangiare. A questa inflazione da eccesso di moneta hanno anche contribuito l’adozione di valute “alternative”, esempio il rimbombo nell’area asiatica o estremamente speculative quali, ad esempio i bitcoin.
Vie d’uscita
Ben poche: qualche palliativo di ambito squisitamente microeconomico, spesso dettati dal buon senso più che dai massimi sistemi, quali ad esempio la preferenza per mutui a tasso fisso piuttosto che variabile (per evitare incrementi del tasso di interesse in corso del finanziamento), no investimenti in liquidità, meglio investire in materie prime o semilavorati necessari al processo produttivo, magari incrementando consistentemente le scorte, eventualmente adeguamenti per tempo del listino per il mantenimento del mark-up aziendale, forse una valutazione del magazzino a NIFO (Next In First Out) in modo tale da evidenziare, per quanto possibile, le aspettative di futura inflazione.
La storia ci insegna che, a livello di sistema economico generale, l’inflazione si sconfigge con il recupero della credibilità monetaria. Il recupero della credibilità monetaria passa solo
da una nuova valuta e soprattutto da una nuova classe dirigente non collegata in alcun modo con la attuale