di Giorgio De Biasi
Nello scorrere della nostra vita accade spesso che un evento riporti alla mente un istante, un’esperienza, un dolore, un’angoscia, una gioia che ti rimanda al viso di una persona con la quale hai vissuto o che anche hai occasionalmente incontrato e interagito.
E quando il ricordo riaffiora i suoi dettagli disegnano davanti ai nostri occhi quelle persone che non vediamo da tempo, e fra queste soprattutto i genitori, quei famigliari che la morte ha allontanato da noi.
Ma cosa può ricordare quel bambino di 5 anni, quella bambina di 11 anni che non hanno ancora “vissuto abbastanza” per fissare per sempre nel loro ricordo il viso di madri e padri che non vedranno più.
Per diretta esperienza ben conosco quando sia sfuocato il viso di mio padre scomparso quando avevo soli 11 anni. Quanto sia flebile la memoria dei suoi gesti, del suo intercalare con mamma e con mia sorella.
Ben so che a 5 anni, a 8 anni ma anche a 11 anni quel sentimento che entra nel cuore alla morte di un genitore non è il dolore ma la paura.
La paura di restare solo senza quelle braccia che ti portavano in alto e senza quelle tenerezze che ti accompagnavano all’inizio del sonno.
La paura di non trovarti più accanto chi giocava con te, chi ti accompagnava a scuola, chi ti faceva scoprire il domani e il mondo.
Poi la vita scorre. Il nuovo occupa il passato ed il futuro occupa il pensiero.
Così accade che l’uomo di oggi a 76 anni non ricorda più quel bambino di 11 anni ma anche il viso di quel lontano padre, di quella lontana madre.
Quel vecchio di oggi, che non ha provato il dolore del bambino di ieri, ha vissuto una vita spezzata dalla paura e vive un ricordo altrettanto spezzato.
Questo è il dramma che oggi vivono da inconsapevoli i bambini ucraini e le bambine russe ovvero un’intera generazione che vede i propri genitori morire per una guerra le cui ragioni non comprendono né gli uni né le altre.
Quando la televisione ci mostra i bambini ucraini noi possiamo vedere che nei loro occhi non c’è dolore ma paura, tanta paura. Quella paura che sicuramente è negli occhi dei bambini russi.
Il dolore ancora non lo sentono. Non piangono per quel dolore che sentiranno dopo quando saranno grandi. Oggi piangono per la paura.
Quella paura che entrambi provano guardando i loro padri partire per la guerra.
Quella paura che provano vedendo che il padre non sale con loro sul treno che parte.
La loro è una “vita spezzata” da quella paura di oggi che segnerà tutta la loro vita.
Questo, tutto questo la guerra produce.