di Nicola IZZO
Molti sostengono che il venir meno delle ideologie ha consentito un confronto politico più costruttivo, meno vincolato all’ortodossia delle dottrine politiche.
A mio modesto avviso tale convinzione, seppur apprezzabile e per qualche tempo anche condivisa, si è rivelata errata e contraddetta dai fatti.
Il dibattito ideologico era basato sul confronto tra modelli di società alternative, sulla concezione di modi di vita dissimili e sulla scelta di valori sociali diversi o quantomeno interpretati in modo difforme.
Le ideologie erano e restano un contenitore di progetto delle forme in cui si sviluppa una aggregazione umana.
Venute meno o condannate dalla semplificazione del pensiero ad essere surrogate da nuove formule di aggregazione hanno generato un vuoto che sta producendo effetti devastanti.
La società attuale ha sostituito le dottrine ed i filosofi del pensiero politico con i dispensatori di slogan.
Ci siamo assuefatti, anche per l’abitudine al quotidiano messaggio di pubblicità mediatica, agli slogan anche per la comunicazione politica.
Messaggi semplici, spesso inorganici, battute ad effetto, sovente contraddittorie, esempio di un pensiero debole, che mirano a richiamare, talvolta in modo fraudolento, l’attenzione del pubblico votante.
Questa fase “Carosello” dell’informazione politica, che ahinoi dura da vari decenni, è testimoniata anche dal pressappochismo con cui gli slogan vengono annunciati: argomenti effimeri, soluzioni impraticabili, giustificazioni puerili e stantie, definizioni contrarie non solo alla logica ma addirittura al dizionario della lingua italiana.
Questi messaggi, poi, sono infarciti da una buona dose di falso perbenismo e di codardia: nessuno si etichetta più come destra o sinistra, ammesso che voglia ancor dire qualcosa, ma tutti antepongono la parola “centro”, un velo della vergogna, una reticenza alle asperità del proprio pensiero per attrarre il più ampio spettro di consenso che, forse, si sentirebbe troppo etichettato da una collocazione netta.
Fortunatamente sembra in calo la definizione “moderati” forse perché troppo in voga rispetto al bere anche per evitare nefaste conseguenze con l’etilometro.
In questo contesto sguazzano i c.d. Opinion leader che autocelebrando le loro genialità suppongono che la diversità di pensiero sia indizio di stupidità, inadeguatezza morale ed intellettuale. Sono i sacerdoti del purismo morale, religione spesso praticata da falsi e dai venditori di fumo.
Di fronte a questo bailamme, in assenza di qualsiasi progetto, coerenza, idee, il confronto politico, di fatto, è divenuto in una sorta di scontro tra tifoserie in cui le aggregazioni avvengono non per sostenere un modello di società, ma per appagare bassi interessi individuali, quando non addirittura per contrastare qualcuno.
Mancando un’idea nuova di società, mancando genialità politica, ci si schiera con il più simpatico, il più accattivante, il piacione, ci si schiera con chi ci propina il messaggio più forte, più commovente, spesso strumentalizzando l’immagine di bambini e anziani, o di chi si fa paladino di falsi pauperismo e onestà. Non vorrei dimenticare l’attrazione spesso esercitata dagli indignati di comodo categoria che si annovera nella doppia morale.
Anche se non c’è da augurarselo ma credo che sarà sempre peggio, l’unico rimedio è una catarsi del sistema, una rivoluzione del peggio che possa far generare dalle ceneri della distruzione una società migliore. Una nuova ideologia.