di Giorgio DE BIASI
Nonno Annibale, morto a 97 anni in quel di Dosson di Casier, con in mano un “goto di Raboso” (bicchiere di vino rosso), era solito dire che la “vista degli occhi” è un importante dono di Dio ma anche un terribile peso che ogni essere umano deve portare.
Diceva, nonno Annibale, che la vista degli occhi ti consente sempre di vedere “la realtà” che ti sta davanti, bella o brutta che sia, gioiosa o terribile, entusiasmante o mortificante.
Una “realtà immodificabile nel tempo e nello spazio” poiché sono i tuoi occhi che, non potendo mentire a sé stessi, la vedono e la fissano nella tua mente nitidamente e senza infingimenti.
Ecco perché nonno Annibale diceva che la vista degli occhi fissa sempre “la verità” per quello che è in quel momento in cui si appalesa immutabile e irripetibile.
Ma poi, saggiamente, nonno Annibale riconosceva che la “realtà” pur essendo vista dai tuoi occhi come immutabile e irripetibile diviene sempre “modificabile” quando viene raccontata ad altri o quando sia scritta per il sapere degli altri.
Quando questo accade la “realtà”, ovvero la “verità” della vista degli occhi, è spesso contaminata dagli interessi di chi la racconta o di chi la scrive.
Sono gli interessi di parte, di bandiera o di alleanza che trasformano sempre la verità “della vista degli occhi” nella verità di ciò che “la mente pensa”.
Fatta questa premessa possiamo ora occuparci del ruolo che l’informazione italiana svolge nel conflitto Russo-Ucraino e, in particolare, del ruolo e della credibilità degli “inviati di guerra” e dei “reporter” che seguono il suo svolgersi.
Tralasciando i “Talk Show”, dentro ai quali TV di Stato ed emittenti private cucinano di tutto e di più, esaminiamo il comportamento della carta stampata e dei grandi quotidiani che, con i loro “inviati di guerra” ci raccontano quello che loro “pensano della guerra” anziché descriverci e raccontarci le vicende belliche così come si sono svolte sul campo.
Siamo forse dentro un giornalismo che racconta la guerra dal punto di vista del solo esercito che l’inviato sta seguendo e di cui descrive ampiamente le vittorie, minimizzando le sue sconfitte evitando di fornire il numero dei morti e dei feriti.
Si tratta, in buona sostanza, di un giornalismo che si schiera, che parteggia, che porta avanti una caratterista del giornale più legata alla sua affermazione quale testata “dominante” piuttosto che alla “verità”, a cui dovrebbe sempre aspirare.
Questo tipo di giornalismo, nascondendosi quasi sempre dietro la maschera della “neutralità” è in effetti un “giornalismo militante” che produce una distorsione anche nel pubblico che legge la notizia.
Siamo ormai di fronte ad un tentativo di orientamento dell’opinione pubblica in favore dell’Ucraina e contro la Russia, ma questo per i “giornaloni” non basta, tanto che, per giungere allo scopo, molti inviati di guerra, opinionisti e commentatori non esitano ad imporre un pensiero unico sulla guerra mediante i loro articoli ed i loro reportage.
Va de se che con questa informazione risulta estremamente difficile capire che cosa sta succedendo “al fronte” dato che è quasi impossibile ricevere notizie sulle vittime e sulle operazioni militari che non siano pesate e filtrate dal giornalismo di propaganda. Con queste condizioni date, diviene oggettivamente difille comprendere dove sia la “verità”.
Gli stessi social non aiutano a comprendere dove essa sia proprio perché un video diffuso può sempre divenire “virale” producendo una forte ondata emotiva indipendentemente dalla sua autenticità.
Ovviamente, questo incalzante “pensiero unico” sul conflitto Russo-Ucraino non può che produrre nella pubblica opinione un forte sentimento di paura e di ostilità verso il popolo, la politica e la cultura russa.
Ecco perché oggi risulta quasi impossibile, per un cittadino italiano dotato di “pensiero critico”, portare avanti un ragionamento capace di ampliare lo sguardo e l’orizzonte per comprendere la “verità” di un conflitto.
Coloro che ci provano anche utilizzando i social o nei talk show sono immediatamente etichettati come “putiniani” e isolati come è accaduto a Mark Innaro, storico corrispondente da Mosca.
Per comprendere questa descritta verità basta sfogliare i maggiori quotidiani italiani soffermandosi a leggere i reportage degli “inviati di guerra” ovvero di coloro che pur avendo “visto la realtà” non ce la illustrano ma ce “la spiegano”.