Giorgio De Biasi
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Come l’araba fenice
Renzi resta determinante per la formazione del governo.
di Giorgio De Biasi
Archiviata la visita di Salvini a Berlusconi in quel di Arcore, da intendersi quale assicurativo segnale attestante l’impossibilità di una alleanza LEGA-M5S, l’attenzione si è focalizzata sulla conferenza stampa di Matteo Renzi che, non a caso, è stato l’ultimo leader a dire ciò che lui ed il suo partito pensano.
Renzi ha parlato solo quando è stato sicuro del risultato elettorale che assegna a lui e solo a lui la maggioranza qualificata dei seggi al Senato (circa 43 su 50) e di quelli della Camera (circa 86 su 135) si è consolidato intorno alle 18,05 di ieri.
Seggi sui quali si accomoderanno donne e uomini a lui fedeli, suoi grandi elettori nella corsa appena conclusasi alla Segreteria del Partito e – con molta probabilità – sui grandi elettori anche alle prossime primarie propedeutiche al congresso.
Inoltre, Renzi ha parlato solo quando ha potuto accertare che una buona parte del partito (quelli del caminetto) più Grasso e Boldrini avevano iniziato ad ipotizzare un abbraccio con DI MAIO e GRILLO suoi nemici mortali per tutta la campagna elettorale e non solo.
L’irritazione di DI BATTISTA al discorso di Renzi, le precisazioni di Zanda, il silenzio del centro destra sono li a testimoniare che Renzi ha colto nel segno, ovvero che – con il suo discorso – ha voluto fare comprendere a tutti che senza il suo parere o meglio contro il suo parere nessun governo può nascere.
In questa ottica devono leggersi le preannunciate e, attenzione, non date dimissioni che diventeranno effettive (ne siamo sicuri?) solo dopo l’elezione dei Presidenti della Camera e del Senato e dopo la formazione di un Governo.
La sconfitta elettorale di un Berlusconi ormai orfano della leadership del centro destra conquistata da Salvini, la prontezza con la quale i suoi si sono subito inchinati a Salvini insieme alle dichiarazioni di quest’ultimo di voler restare ancorato alla coalizione, hanno indotto Renzi a giocare la sua migliore carta.
L’ha potuta giocare anche e soprattutto perché: se è vero che i voti contano è altrettanto vero che in parlamento i seggi contano ancora di più soprattutto se sugli scranni sono seduti parlamentari assolutamente fedeli e riconoscenti a Renzi d’averli candidati.
Quelle dimissioni preannunciate e non date null’altro sono che la “chiamata alle armi” di una forza parlamentare che è nelle mani di Renzi.
Questa forza parlamentare forse non risulterà determinante per eleggere i Presidenti di Camera e Senato ma sarà determinante per formare il governo di qualsiasi natura esso sia.
Mi sembra difficile negare che, disarcionato Renzi, il PD “manfrina dopo manfrina” avrebbe finito per sostenere un governo formato da M5S – LEU e PD.
Ora che il “potere politico” del PD risiede più nei suoi futuri Gruppi Parlamentari di Camera e Senato piuttosto che negli organismi statutari del partito, Renzi con i suoi e solo suoi deputati e senatori giocherà la sua partita.
Come “l’araba fenice” un PD perdente ancora guidato da un Renzi che governa deputati e senatori, risorge e riconquista la scena.
Se DI MAIO o SALVINI saliranno le scale di Palazzo Chigi e/o non le saliranno dipenderà molto da un PD che ragiona con un Segretario disarcionato nel palazzo del partito da un voto negativo ma ben in sella nei Gruppi Parlamentari dove la stragrande maggioranza dei parlamentari eletti sono a lui fedeli.
Non sempre “Similes cum similibus congregantur”
http://elezioni.interno.gov.it/…/scruti…/20180304/scrutiniCI