di Nicola IZZO
Ho sempre pensato che l’evoluzione, la civiltà di un popolo si misuri dal livello della libertà d’espressione.
Abbiamo faticato per ottenerla, liberandoci dai lacci delle convenzioni sociali e delle dittature politiche.
Poi è arrivata l’era del politicamente corretto, abbiamo cominciato ad arretrare, a ripiegare sul concetto di convenienza sociale.
Ad impaurirci.
E la paura è sempre la figlia prediletta di una dittatura.
Non cambia molto se questa dittatura sia fascista, comunista, o sia la dittatura del pensiero comune.
In questo periodo, su questo tema, stiamo pericolosamente toccando il fondo.
Non si può dire che la guerra in Ucraina ha motivazioni complesse non riconducibili al semplice: i russi hanno invaso sono colpevoli, che rischi di essere etichettato per filorusso;
Non si può dire che inviare le armi agli ucraini per una sanguinosa resistenza al posto di mettere in atto tutti gli sforzi della diplomazia per raggiungere una onorevole pace, che sei filo Putin;
Non si può dire che i toni bellicosi, le offese gratuite, un linguaggio da postribolo che alimenta le reciproche vendette sul campo, che sei un esecrabile qualunquista;
Non si può neanche dire che le passerelle politiche a cui stiamo assistendo non servono ad altro che a dare visibilità ad improbabili e scialbi leader, che sei un povero ignorante.
Molti altri sarebbero i “non si può dire” per cui esprimere alcuni pensieri diventa scorretto e molta gente di buon senso, per non essere ridicolizzata, offesa, posta all’indice, si consegna al silenzio.
Stiamo arretrando, atrocemente, verso la negazione della parola.
I regimi politici obbligano alla censura, il politicamente corretto all’ autocensura, che altro non è che una censura all’ ennesima potenza.
Quando sei tu a silenziare te stesso per paura non di un tiranno, ma della comunità, del pensiero unico, sei nella peggiore delle dittature.
Saremo capaci di riappropriarci della libertà di parola e combattere ognuno per le proprie idee?