RIFLESSIONE SUL REFERENDUM.
Non è solo questione di avere meno Parlamentari, ma anche di avere meno “capre” possibili.
di Carmine Fioriti
Sinceramente non credo di essere sicuro al 100% sul come votare al referendum costituzionale del 20 e 21 settembre.
Qualcuno mi ha fatto riflettere sulla convinzione che, riducendo il numero dei parlamentari, si darebbe un colpo ai benefici della casta, ai loro privilegi, ai loro vitalizi etc, etc. Ma, rileggendo la norma costituzionale oggetto del referendum, ho potuto notare che benefici e vitalizi restano così come sono, con l’unica differenza che a beneficiane sarà un numero inferiore di destinatari con un risparmio erariale del tutto irrilevante. Ergo la prima domanda che sgorga spontanea è “per quale motivo non è stato disposto (legiferato) la riduzione o la eliminazione di tutto quel che viene considerato beneficio a tutti i parlamentari, invece della riduzione degli stessi???
Ho anche potuto accertare che, qualora vincessero i SI, il mio rappresentante politico di area geografica sarà un perfetto
sconosciuto, dovendosi ampliare necessariamente i collegi elettorali che, al momento, almeno assicurano quel rapporto tra eletti ed elettori assolutamente imprescindibile.
Ovvio che il problema non si esaurisce con quattro riflessioni di corsa. Il serio problema è che la politica ha raggiunto un livello talmente basso, ma talmente basso che autorizza chiunque a sentirsi un potenziale candidato, un deputato e, perché no, un ministro o qualcosa in più. Ignoranza, esperienza politico-amministrativa, capacità eccezionali e quant’altro che dovrebbe fare la differenza sembrano, ormai, tutti sacrificati sull’altare del populismo sfrenato che autorizza ognuno a sentirsi “onnipotente”. Per fortuna, c’è il seminario di mezzo che limita le aspirazioni a “Papa”, altrimenti anche questo “incarico” verrebbe considerato alla portata di ogni mortale di oggi.
Ma può tutto questo pressappochismo essere preso ad esempio da tutti, ovvero da quel settore della umanità che ha sempre dimostrato di avere senno? E soprattutto può un partito tradizionalista come il PD scendere ad un livello al quale mai si è avvicinato, essendo il primo partito ad affrontare nelle sue scuole il tema della competenza, vale a dire del combinato disposto della “conoscenza” e della “esperienza”?
Mi si consenta una parentesi appropriata tramite la citazione condivisibile di alcune affermazioni sottoscritte dalla Sezione A.N.P.I. di Atessa:” riteniamo un grosso errore credere, come oggi spesso si fa, che ad amministrare la cosa pubblica può essere chiamato “uno di noi”. Dobbiamo, invece, eleggere ad amministrare la casa comune chi è più capace di noi, chi ne sa più di noi, chi conosce il funzionamento della macchina burocratica più di noi, chi ha più intelligenza creativa di noi, chi ha più tempo e più volontà di noi, chi ha più forza e più passione di noi”.
Ecco, la prima delle riforme da fare in questo Paese, che purtroppo non può essere strutturata e regolamentata, è l’obbligatorietà di un autoesame di coscienza attraverso il quale si possa rispondere sinceramente alla domanda, qualora si abbia in animo di candidarsi o ricoprire cariche pubbliche, se ci si ritiene davvero competenti, preparati ed esperti per poter amministrare la cosa pubblica. Questo perché non risulta essere assolutamente esauriente la sola presunzione del poterlo fare o, addirittura, dell’essere sicuramente meglio di chi si trova nel posto politico che si intenda occupare.
Chi scrive ha capito sulla propria pelle l’importanza dell’esperienza e conoscenza politica nel ricoprire cariche. I romani – sempre loro – ci tramandano l’importanza della pratica del “cursus honorum” che consentiva di ricoprire incarichi attraverso un meccanismo che creava la necessaria esperienza e competenza (non si poteva fare il Pretore senza aver fatto prima il Questore….etc etc) Ed oggi dovrebbe ancora essere così. Occorrerebbe esperienza, capacità, conoscenza; tutte qualità che non sembrano abbondare nel Parlamento e nelle massime cariche istituzionali.
Diverso, invece, è il porsi l’obiettivo della mera contestazione finalizzata a “sfasciare” per poi, però, far ricostruire a chi è capace.
Ma, quando, dopo aver rotto, sfasciato e nulla ricostruito, si ha la pretesa di ricoprire cariche ed incarichi di quei settori contro i quali si è combattuto, allora siamo di fronte a novelli Marat, Danton, Robespierre a cui serve solo “Place de la Concorde” e null’altro.
Per meglio estrinsecare quanto in premessa circa la considerazione sul referendum del 20 e 21 settembre, ritengo alquanto necessario e non più procrastinabile, oggi al pari del dopoguerra, procedere alla elezione di una “costituente”; una assemblea elettiva con il compito di modificare ed aggiornare la costituzione italiana. Non bicameralismo, non commissioni speciali, non botte di referendum, ma una assemblea elettiva con poteri conferitigli dal popolo. Solo così si potrà trovare una sintesi di riordino costituzionale dopo vari e vani tentativi sinora svolti da più parti. In caso contrario si cercherà sempre di realizzare una riforma a pezzi che non fa e non farà mai bene perché non fa l’interesse di tutti e non è conseguenziale ai principi della stessa costituzione vigente, impedendo l’ingresso reale ad una seconda repubblica che non è mai nata perché la costituzione è rimasta sempre la stessa.
Ciò premesso, ben si comprenderà con che animo ci si reca alle urne, ovvero per quale ragione si diserteranno.
Per quanto mi riguarda, vado a votare, innanzitutto, per eleggere il centro Destra alla Regione Marche, fatta di una coalizione di amici sinceri e di politici preparati, competenti ed esperti nella gestione della cosa pubblica che fanno ben sperare nel futuro amministrativo della Regione che ha necessità di risollevarsi, dopo mezzo secolo di sinistra amministrazione.
Circa il referendum, l’animo è diviso tra la voglia di rompere, siglando il SI perché così si arriverebbe prima ad uno sfascio generale da cui far rinascere i valori veri che devono essere alla base del nostro vivere civile e quella di votare NO per bloccare una deriva populista, che non porta a niente se non ad una maggiore confusione, alla quale, incredibilmente, si è adattato anche il partito che più di ogni altro dovrebbe difendere la rappresentanza.
Come fa, infatti, il partito che proviene dalla tradizione comunista tagliare una fetta di rappresentanza del popolo, quando dal popolo trae origine e con il popolo ha costruito i suoi successi e le sue tradizioni? Inimmaginabile oggi l’animo di Togliatti di fronte al taglio costituzionale dei parlamentari. Così come quello di tutti coloro che sono stati vittime delle dittature e che hanno sempre rivendicato la sovranità popolare per essere tutelati e garantiti.
Cosa direbbero ora quando si prospetta l’ipotesi di una rappresentanza mutilata?
Sì, mutilata perché ogni parlamentare in meno è, sempre e comunque, un pezzo di democrazia che si sfalda ed un pezzo di “partecipazione” che si rompe.
Quindi ognuno pensi e mediti il voto referendario. Non è una scelta semplice, ma ragioniamoci senza alcuna spinta emotiva.