Riflessioni in occasione del Solstizio d’Inverno
Sicuramente la pandemia, fenomeno ciclico e per nulla eccezionale nella storia della umanità, ha caratterizzato pesantemente gli ultimi due anni. Essa ha accelerato gli sviluppi geopolitici, offuscandone spesso la visione precisa. La crisi finanziaria americana del 2008 importata in modo forzoso in Europa nel 2011-12, la progressiva globalizzazione e dematerializzazione dei patrimoni trasformati in strumenti finanziari virtuali, la ipercapitalizzazione delle borse che genera una economia virtuale di cui meno di un quarto esiste veramente e il forzato rimescolamento dei popoli, con migrazioni epocali incentrate proprio sul nostro continente, accompagnati da una progressiva, inarrestabile deriva verso una nuova estremizzazione delle condizioni economiche individuali, con enormi masse di persone sempre più povere e una concentrazione sempre più accentuata delle risorse in poche mani, delineano una situazione da lungo tempo preparata e solo minimamente diretta, ma certamente accelerata, dalla pandemia.
La crescita esponenziale della concentrazione del potere negoziale mondiale in poche mani con il rovesciamento del paradigma della crescita auspicata di un ceto sociale medio comporta aspetti filosofici ed ideologici di ampia portata su cui merita meditare. Intanto va subito premesso che tale concentrazione avviene nella progressiva transizione del potere da forme palesi di potere statale e governativo a strutture societarie anonime finanziarie la cui governance è di norma occulta e difficilmente identificabile.
In origine la transizione da potere ereditario aristocratico, palese, fisso e conferito, a potere acquisito ed acquisibile da tutti, almeno teoricamente, generata dalla rivoluzione americana e francese, ha aperto la strada ad una rinegoziazione sociale delle classi e dei poteri. Dopo vari assestamenti con derive estremiste di vario tipo, si sta ora cristallizzando una situazione sicuramente diversa da quella originalmente auspicata e caratterizzata da alcuni elementi precisi:
1- la eliminazione progressiva delle specificità culturali, etniche e storiche tra le varie popolazioni.
LE forze in campo oggi non vogliono solo liberarci dal razzismo o da discriminazioni per religione o sesso, ma tendono ad eliminare ogni differenza, ogni specificità umana, creando una massa strutturalmente anonima e uniforme. Il mantra del potere moderno è contrastare ogni forma di selezione, classificazione, differenza. Per ottenere questo non ci si serve solo di leggi, imposizioni, sanzioni morali e repressione sociale, ma anche di mezzi assai più subdoli ma efficacissimi. La moda di eliminare i titoli, di ridurre gli appellativi alla sola forma grammaticale colloquiale del “tu”, la eliminazione della forma passiva nei verbi di azione se in questa azione è insita una differenza professionale o di capacità e competenza, rientrano a pieno titolo in questa ricerca del collettivismo applicato.
Nella maggioranza delle lingue esistono strumenti grammaticali per differenziare vari livelli di confidenzialità e rispetto nei rapporti sociali. In italiano il “Lei” indica un rapporto normale tra le persone. Il “Tu” invece sottolinea una vicinanza umana diretta, selettiva, acquisita per nascita o per frequentazione sociale. Nella vita sociale extra famigliare il Lei indica anche una gerarchia sociale ascendente, essendo obbligatorio da inferiore a superiore, quando il Tu indica un rapporto sociale discendente. D’altra parte, il Tu può indicare un rapporto non di nascita, ma acquisito socialmente, nel qual caso aggiunge un preciso elemento positivo emotivo e ragionato al rapporto. Il Tu è riservato in questa forma agli amici, a coloro di cui ci fidiamo, con cui condividiamo pensieri e esperienze. In questo si accomuna al termine “amico”, anch’esso un modo per dividere una parte generale dell’umanità da un’altra, a noi specificamente vicina. Seleziona gli uomini in vicini a noi e indifferenti.
L’uso differenziato di queste forme di appellativo permette di graduare i diversi aspetti delle relazioni sociali, sia emotive (Amicizia), che famigliari o sociali. E allora la eliminazione della forma di cortesia, il Lei, sostituita con il Tu, apparentemente generata per alzare il livello di compartecipazione umana e vicinanza personale, permette di eliminare queste specifiche sociali sul piano linguistico. Analogamente l’uso improprio della classifica “amico” non per persone di lunga conoscenza caratterizzate da un rapporto di fiducia e trasporto emotivo positivo, ma per soggetti totalmente ignoti, assenti e privi di qualsivoglia legame emotivo o intellettuale, spesso addirittura virtuali o francamente fasulli, nei cosiddetti “social”, distrugge la classifica delle persone secondo una scala di affidabilità, valore umano o anche semplice trasporto emotivo positivo in una danza turbinosa e pesantemente collettivista, nascosta dietro la apparente innocuità e banalità del fenomeno.
Altro esempio è la trasposizione dal passivo all’attivo dell’uso di alcuni verbi che indicano azioni prese da persone con determinate caratteristiche professionali, su altre persone non professionali, che ne beneficano. Ne abbiamo un esempio lampante attuale: vaccinarSI al posto di essere vaccinati. A dire il vero la cosa non comincia dalla pandemia, ma ha una radice molto più lontana. Da tempo una certa lettura ideologica spinge di usare alcuni verbi in forma riflessiva impropria, come “operarsi”, “curarsi”, “vaccinarsi” etc. Sembra una ignoranza innocua, un banale segno del rampante analfabetismo di ritorno indotto dal degrado della istruzione scolastica a livelli statunitensi, ma non lo è. Il medico, insieme all’avvocato, al notaio, al farmacista e in genere la classe accademica, avevano mantenuto una certa fascia di rispetto sociale specifico anche dopo la caduta della aristocrazia. È significativo che tale rispetto popolare non era legato alla ricchezza economica ma a fattori più personali, specifici e individuali, come appunto una superiore scolarità. Valori personali e non trasferibili su chiunque senza coinvolgimento dei meriti tramite una banale firma, come lo è invece la ricchezza economica. Questo rispetto sociale andava distrutto.
Si partì con una apertura totale delle università, con la finalità di proletarizzare la laurea e toglierle quell’aura di nobiltà che ancora le rimaneva. Parallelamente di destrutturava il tessuto organizzativo delle lauree, che da poche denominazioni chiare passarono ad una miriade di indirizzi vari, difficilmente comprensibili e classificabili, destrutturate e soprattutto prive di ogni graduatoria di rispetto interna. Quando prima trivio e quadrivio determinavano il livello di nobiltà di una laurea, ora un generale appiattimento le accomuna tutte. Le lauree in giurisprudenza, filosofia e medicina sono sedute ormai nello stesso banco a fianco di quelle di Scienze politiche o professionali derivate da livelli di diploma non accademici. Anche in questo si segue la deriva americana, dove la laurea come la intendiamo noi, ovvero il dottorato, è limitato ad una fascia di persone intenzionate a seguire una carriera accademica pura (PhD), fatti salvi alcuni residui percorsi professionali (MD, JD, DVD etc). Il diploma accademico normale viene chiamato Master e corrisponde alla nostra “laurea triennale”, edizione popolare della qualifica accademica tradizionale. Parallelamente l’accesso ai titoli è stato reso man mano più facile non solo come ingresso nel corso, ma anche nel suo svolgimento. Il sistema dello “spoon feeding” accademico americano si sposa al “18 politico” europeo per creare una popolazione diplomata e laureata molto focalizzata sulla resa lavorativa e poco sulla cultura generale, con una base numerica allargata, legata a requisiti di preparazione di conseguenza ridotti.
Ottenuta questa proletarizzazione dei titoli accademici, è ora necessario rimuovere tutti i residui comportamentali che esprimono rispetto o comunque indicano una differenza sociale. Si procede a collettivizzare il rapporto tra utente e professionista. Così l’asse di azione da medico a paziente nella diagnosi e cura deve perdere lo squilibrio sociale e diventare prima paritetico e poi rovesciarsi del tutto. Vanno pertanto per prime eliminate le forme verbali che possano indicare un rapporto di prevalenza del medico curante sul paziente curato, in modo da far diventare il paziente un soggetto sostanzialmente auto medicante e autodiagnosticante che si serve, ma non dipende, dall’azione del professionista. Così finiamo di operarci, medicarci, vaccinarci. Ridicolo ma vero.
Si potrebbero fare molti esempi, ma il concetto finale è uno solo: l’unica forma di discriminazione e differenziazione sociale ammessa deve essere quella economica. Non posso negare l’ingresso al mio ristorante per nessuna caratteristica fisica o mentale, sociale, accademica o meritoria, ma posso facilmente selezionare i miei avventori in modo del tutto legale secondo il patrimonio disponibile alla spesa, semplicemente modulando i prezzi. Si può differenziare non in base all’uomo, ma solo in base al suo portafoglio. In sostanza da nominale e personale, la discriminazione è diventata anonima e trasferibile al di fuori di ogni controllo comunitario e sociale, con una semplice firma o, perché no, atto di violenza predatoria.
Va infatti sottolineata una caratteristica differenziale sostanziale tra elemento ereditario, accademico, morale, etico, meritorio e similari, e possesso economico: le prime sono tutte caratteristiche legate alla persona, nominali. La disponibilità economica invece è trasferibile in modo non legato alla persona, può essere concessa in modo immediato e anonimo, non richiede alcuna qualità umana. Rientra pertanto in pieno diritto nella categoria della anonimizzazione dei parametri, nella separazione tra valore dell’uomo e parametro sociale, auspicata dalla evoluzione attuale. Analogamente non è più l’uomo che nobilita la funzione, ma la funzione a nobilitare l’uomo. Siamo Direttori, Professori o Presidenti “pro tempore”, godiamo di ogni onore durante la carica e nulla dopo. La poltrona genera il rispetto, la persona è un mero chargè d’affaire pro tempore, che partecipa o perde il rispetto in base alla vicinanza alla poltrona. Poltrona che diventa e rappresenta pertanto il conto in banca, la mera e trasferibile potenza economica del momento.
Per cui vediamo che in modo aperto, con il “politically correct” o subdolo, con la trasformazione del linguaggio, veniamo addestrati ad accettare una sola ed unica graduatoria sociale, quella anonima della disponibilità economica. Un’anonima che ovviamente giova a chi teme la individuazione, la luce della chiarezza, l’esame pubblico delle sue azioni e dei suoi poteri. Questo porta poi ad alcune altre riflessioni che vedremo in seguito.
2- la depatrimonializzazione del cittadino.
Nel medioevo non esisteva la proprietà privata. Le classi popolari non avevano diritti specifici e lavoravano sulle terre di altri. Ma anche alle classi nobili le terre erano solo assegnate per concessione del Re, cioè dal potere esercitato, che le poteva dare e togliere a piacimento. La lotta per una maggiore stabilità dei propri possedimenti e per l’autonomia gestionale da parte dei feudatari caratterizza l’Impero. La concessione della trasmissibilità ereditaria di questi privilegi, non certo l’amore per i “diritti umani” o il desiderio di “democrazia popolare”, sono alla base selle costituzioni ottoniane e della Magna Carta inglese. Analogamente il possesso di moneta non permetteva un uso libero della stessa. Il rango, concesso dal Re, e la funzione determinavano molti dei diritti d’uso dei propri soldi. Un borghese non poteva vestirsi d’ermellino nemmeno nella ricca Firenze del ‘500, ma dove prima farsi conferire i relativi titoli aristocratici. Usando i propri soldi, ovviamente, ma lasciando al re un discrimine finale. Con le rivoluzioni borghesi di fine ‘700 la prima preoccupazione delle classi borghesi rivoltanti era infatti liberarsi da questo controllo per poter disporre liberamente dei soldi accumulati più o meno lecitamente. La tanto proclamata uguaglianza non era altro che il desiderio dei borghesi ricchi di poter spendere i loro soldi liberamente senza limiti imposti da una aristocrazia ormai impoverita dalla politica di accentramento reale Luigina e chiusa su sé stessa, cristallizzata in una morte definitiva.
La costituzione americana è molto chiara in questo senso, molto più limpida e “onesta” di quella francese, più influenzata da ideologie e tensioni sociali diverse. Del resto, la Francia era un paese vero, composto da tutti gli strati sociali con le loro esigenze, aspirazioni e convinzioni, quando gli Stati Uniti erano colonie socialmente abbastanza monomorfe, fatte di persone derivate dagli strati sociali medio bassi europei, emigrati in quei territori. Coloni caratterizzati dalle loro aspirazioni focalizzate non certo sull’arte e la filosofia, ma più praticamente sulla uscita dalla povertà con la acquisizione di beni e patrimoni.
Il grande valore dato alla libertà individuale da queste rivoluzioni è derivato direttamente dalla mancanza della stessa nei secoli precedenti. Il patrimonio personale diventava l’unico vero valore in una società in cui le classi e le gerarchie erano in progressivo disfacimento.
Il fatto di concedere libero uso al proprio patrimonio crea però un naturale contrasto con il potere costituito. Avere soldi non basta per essere liberi, bisogna anche poterli usare senza limitazioni. Nella Germania Comunista le persone avevano grandi depositi in moneta, proprio perché la indisponibilità di merci rendeva i soldi praticamente inservibili in quanto non spendibili. Al momento della riunificazione la mossa geniale di Kohl di equiparare il Marco orientale a quello occidentale permise alle popolazioni uscite dal regime comunista di transitare senza troppo scossoni sociali nella unificazione del paese, esempio unico nel panorama del post-comunismo della dissoluzione gorbacioviana del regno sovietico.
La crescita della disponibilità economica personale, unita alla prevalenza di una normativa liberale dei diritti umani imposta dagli americani come unica vera potenza vincitrice della guerra, creava nelle società europee, meno pronte ad una dialettica forte tra potere governativo e aspirazioni popolari, una tensione crescente. I moti scoppiati alla fine del 1967 nelle università californiane contro l’obbligo di servizio militare nel Vietnam vennero presto importati in Europa trasformandoli in qualcosa di totalmente diverso, politico e a forte connotazione ideologica. Ovviamente i ragazzi studenti poco se ne accorsero e solo in minima parte ne furono vero motore, ma servirono da chiave per aprire quella porta strutturale del sistema che stava prendendo una direzione non gradita a certi poteri. La crescente disponibilità di moneta a livello popolare individuale e la libertà di uso della stessa avevano creato una società a rapida evoluzione, positiva e piena di speranza, proiettata fiduciosamente nel futuro, ma anche difficilmente guidabile, multiforme e articolata. E allora i poteri veri impararono da Mao Tse Tung: decisero di utilizzare la innata voglia di protesta e l’entusiasmo facilmente scatenabile e manipolabile della gioventù per rompere le strutture che si erano venute a costituire, in una orgia Schumpeteriana di destrutturazione finalizzata però non tanto alla costruzione di un sistema nuovo, ma alla mera eliminazione di un ordine presente. L’Ordine Nuovo, stavolta dichiaratamente globale, venne solo in seguito.
Il patrimonio personale libero è una delle armi più potenti del popolo nei confronti del potere costituito. Esso va distrutto da chiunque intenda dominare serenamente, incontrastato e a lungo.
Bisognava pertanto aggredire la disponibilità economica popolare. Così inizia la guerra contro il patrimonio. In ogni paese viene istituita ovviamente una strategia in linea con la cultura e il sentimento popolare prevalente. L’Italia è caratterizzata da una narrativa pubblica millenaria che assegna valore ad un pauperismo penitenziale cattolico ufficiale ed è così terreno fertile per la lotta di classe collettivista. La nuova forma del pauperismo era sostanzialmente diversa dalla precedente solo per la diversa identificazione del potere supremo di riferimento, non più il Vaticano ma il Comitato Centrale del Partito Comunista. Nella sostanza, comunque, si faceva sempre appello all’invidia sociale, creando intorno al “ricco” una cortina di disapprovazione e auspicandone la morte o almeno il pianto.
Certo, non si voleva colpire il ricco vero, quello della grande e utile disponibilità economica, vero motore dietro alle quinte e cooptato direttamente dai movimenti sediziosi, collaborante e pertanto gestibile. Si voleva togliere il potere patrimoniale di spesa alle masse. Nasce così la abitudine tipicamente nostrana di dichiarare semplicemente “ricche”, fasce sociali al massimo classificabili come basso borghesi. Redditi di 25-35 mila euro annui sono il limiti superiore dopo il quale si perdono tutti i benefici sociali e si diventa un soggetto fiscale da reprimere, nemico di classe da additare, da vestire ed investire con la propria invidia sociale. Così era possibile la inclusione della quasi totalità della popolazione nella esecrabile categoria dei “fortunati”.
Per meglio gestire tutto questo, si fece poi appello ad un’altra caratteristica psicologica atavica umana: nessuno ammette facilmente un merito o capacità superiori alla propria. E allora diventa facile eliminare il merito del tutto, aggredendolo come invenzione delle classi dominanti. Senza differenze di merito, ogni proprietà diventa o furto o fortuna. Qui vediamo di nuovo il gioco lessicale: in Italia si è “fortunati” se si dispone di mezzi e “sfortunato” se si è privi di essi, mai sia ammesso che possa esserci un differenziale di capacità, voglia di lavorare, intelligenza e applicazione alla base! Nella narrativa popolare manipolata l’unica alternativa alla fortuna è il furto.
Dopo questa giustificazione morale si nota sul lato pratico e fiscale una crescente imposizione su tutti i patrimoni reali (immobili, beni durevoli) accompagnata in parallelo da una legislazione finalizzata a distruggere la durevolezza stessa dei beni. Facciamo due esempi. Per primo la casa. L’IMU è modulata da assorbire il valore commerciale dell’immobile ogni 90-110 anni. Nella sostanza la struttura fiscale equivale a trasformare l’immobile da proprietà patrimoniale a concessione centennale. Ogni cento anni ci dobbiamo ricomprare la casa. Parallelamente la libera disponibilità dell’immobile viene ridotto da leggi varie, che vanno dalla tutela dei beni storici alla sicurezza ed ora alla efficienza energetica. Molte leggi sensate, ma applicate non tanto per il fine dichiarato, ma per traslare i poteri decisionali d’uso dal proprietario a soggetti pubblici, espressi dal potere statale. La normativa ecologica poi introduce aspetti ancora più drastici. È evidente la volontà politica di rendere non fruibili immobili non conformi, e pertanto togliergli il valore patrimoniale. Il proprietario che non accetta o non può consumare ulteriori risorse nell’immobile, oltre a quelle della imposizione fiscale, viene di fatto espropriato. Insomma, una ulteriore tassa che rientra nei requisiti del mantenimenti della concessione, accorciandone i tempi.
Il secondo esempio è il contrasto ai beni durevoli. Quando originalmente il maggior plusvalore di un bene era la durata della aspettativa di vita funzionale, che si trattasse di una automobile, di un frigorifero o di una televisione, oggi tutto è orientato ad assicurare che la fruibilità del bene si riduca a pochi anni. Alla obsolescenza programmata si aggiunge oggi l’ecologia, che obbliga rottamare automobili e frigoriferi perfettamente funzionanti per la sola ragione di un qualche parametro messo discrezionalmente a limitarne la fruibilità. Parametro spesso stabilito senza alcuna base scientifica solida, ma vestito da una narrativa emotiva popolare quasi mistica. Parametri quanto mai arbitrari, se consideriamo per esempio che le automobili incidono sull’inquinamento ambientale in misura del tutto secondaria, e comunque non superiore al 7-8%.
La saturazione del mercato è sicuramente una plausibile ragione per comprendere la necessità delle case automobilistiche di eliminare forzosamente l’usato, ma il più importante elemento è di obbligare una famiglia all'acquisto di una nuova automobile per costringerla all’indebitamento. Le risorse necessarie per acquisto e mantenimento dei beni maggiori, come casa e automobile, sono molto superiori alla disponibilità annua di guadagno fresco. Per mantenere la condizione esistente, il possesso di un mezzo di trasporto personale, il cittadino non solo deve trasferire i propri soldi disponibili dal suo conto in banca alla immobiliare o concessionaria, ma deve inoltre indebitarsi, trasformandosi da possessore di patrimonio in debitore. Il bene che acquisisce così non diventa veramente suo, ma resta integralmente in mano alla finanziaria che ha prestato i soldi. Inoltre, l’automobile, per le ragioni suesposte, non può più essere considerata bene durevole, in quanto perde rapidamente il proprio valore nel tempo. Nella casa tale perdita va computata nella somma del costo di mantenimento compresa l’imposizione fiscale, ed è pertanto abbastanza ridotta e spalmabile su un periodo lungo, mitigata inoltre da un aumento del valore monetario nel tempo a causa della inflazione. Nel caso delle automobili invece è molto più significativo. Queste, infatti, perdono il 30% del valore il primo anno e un 10% circa ogni anno successivo, a cui va aggiunto il costo di mantenimento. Infine, la narrativa ecologista permette cancella di colpo ed artificialmente ogni possibile valore residuo con il mezzo della normativa ecologica. Nella sostanza limitare la circolazione delle automobili alzando di una tacca la classifica “EUROx”, sposta una ulteriore significativa parte dei cittadini dalla classe dei possidenti a quella dei debitori.
In cima a questa piramide di misure depatrimonializzanti si pone un fenomeno particolarmente importante: l’offerta di strumenti finanziari sempre più innovativo, ovvero meno legati ad un valore reale ma derivati da artifizi contabili, per gli investimenti privati. Se partiamo dal concetto che il patrimonio è un bene certo e disponibile, che permette al cittadino il libero e discrezionale esercizio del potere di acquisto sul mercato dei beni mercantili, già il cartamoneta costituisce un passo in una direzione diversa. In sostanza il biglietto di moneta non ha un valore proprio, ma è un “pagherò” garantito dallo Stato che lo emette. La cessazione dello standard aureo certifica questa riduzione alla garanzia statale. Se poi il cittadino usa questi soldi per acquistare azioni o obbligazioni, di fatto cede dei “pagherò” garantiti dallo Stato per dei “pagherò” emessi da soggetti privati, banche o società. Queste società a loro volta possono rappresentare dei patrimoni reali, con fabbriche e beni, o agglomerati finanziari il cui patrimonio è integralmente costituito a sua volta da “pagherò” emessi da altre società, in una filiera di matrioske quanto mai oscura ed impercorribile a ritroso. Le Obbligazioni dello Stato, come BOT e CCT si pongono in mezzo, restando garantiti dallo Stato, ma va sempre ricordato che lo Stato è un soggetto sovrano e come tale può legalmente cambiare unilateralmente e senza alcun obbligo di rispetto di garanzia alcuna, le norme e regole che lo reggono. Insomma, nessuno può impedire ad una Stato di diminuire con regolari leggi il valore di restituzione della moneta raccolta od effettuare prelievi estemporanei, come del resto tristemente noto nel nostro paese. Nei soggetti privati invece il valore del “pagherò” acquistato dipende esclusivamente dalla quotazione di mercato che ha in quel momento, senza alcun corrispettivo certo materiale ed esigibile.
E qui emerge un problema sostanziale. È noto che il valore complessivo delle azioni trattate nelle varie borse mondiali supera di molto il patrimonio reale di tali società. Il fatto che la maggior parte degli strumenti finanziari venduti e trattati sia a sua volta nemmeno costituito da azioni societarie, ma da scatole e piramidi tipo matrioska in cui società finanziarie offrono al cliente dei “pagherò” sempre meno comprensibili e soprattutto privi di garanzia reale, non fa che complicare la cosa. Se pensiamo che società come Microsoft, Google o Facebook hanno un valore azionario virtuale in borsa di vari miliardi quando il vero patrimonio si riduce a qualche edificio di uffici in California, protetto inoltre da una struttura societaria internazionale che opera sotto profili legali a dir poco incerti o compiacenti, cominciamo a capire l’entità del fenomeno.
Non è possibile calcolare con certezza quanto sia grande questo fatto, ma alcuni stimano con ragionevolezza che il valore delle borse sia almeno quattro volte quello del patrimoniale reale delle società quotate. Insomma, se le borse perdessero oggi il 75% del loro valore, saremmo arrivati appena al valore vero di quello che rappresentano.
Stimolare il cittadino di spostare il proprio patrimonio reale su un patrimonio virtuale come gli strumenti finanziari, ha molti vantaggi per operatori e potere costituito. Primo, ovvio, toglie potere di spesa al cittadino. Secondo, permette a chi governa gli strumenti finanziari di rimodularli a suo piacimento. Il valore finale del patrimonio virtuale dipende molto di più da fattori geopolitici, leggi e politica di quanto lo possa essere quello di una moneta d’oro o di un set di pentole di rame. Come spingere il cittadino a disfarsi dei bene reali per acquisire beni virtuali? Con pochi, semplici strumenti: la narrativa generale, la paura e la struttura fiscale.
Ovviamente il primo movente è la promessa di guadagni a corto e medio termine. Nella classica narrativa di ogni schema Ponzi, le borse attirano le persone promettendo non già strumenti strutturali ideati per il lungo termine, ma appellando alla avidità e scarsa comprensione dei meccanismi da parte delle moltitudini. Si promettono guadagni nel breve termine, che a volte sono anche possibili. Ovviamente vengono taciuti o negletti i rischi di sistema intrinseci, descritti come note a lato, da non prendere sul serio. Ma questo strumento a corto raggio non basta. Bisogna rendere strutturale la migrazione da patrimonio reale a disposizione della persona a patrimonio virtuale gestito da terzi, stato o anonimi che siano.
Nella sostanza si deve rendere fiscalmente pesante il patrimonio reale, rendendo più remunerativo e attrattivo quello immateriale. Chiariamo subito una cosa: è vero che lo Stato perde soldi alleggerendo il peso fiscale sugli strumenti finanziari, ma bisogna ricordare che la stessa spesa dello Stato è a sua volta in massima parte sostenuto da strumenti virtuali, a sua volta manipolabili. L’Italia ha un debito di 2770 miliardi di euro, cifra che si avvicina al doppio del prodotto lordo nazionale fermo a poco meno di 1700 miliardi, e tale debito è coperto da strumenti virtuali, da “pagherò”, la cui sorte è e resta sempre incerta. Nessuno può garantire se prima o poi imboccheremo la strada Argentina o quella Greca, a buona pace di investitori o cittadini. Uno Stato può utilizzare il proprio debito seguendo parametri e ragionamenti molto diversi di una persona fisica, comprendendo anche l’insolvenza pilotata come opzione strutturale programmatica.
Tornando alla struttura fiscale, è evidente la ricerca di attivare strumenti per favorire l’investimento finanziario e penalizzare quello in beni durevoli.
Vediamo infatti che il reddito da fonte finanziaria è già oggi molto avvantaggiato rispetto a quello da lavoro. Da sempre è infatti indenne dalla progressività della tassa sul reddito da lavoro. Viene assoggettato ad una Flat Tax, chiamata “sostituto d’imposta” per renderlo meno evidente, riservata ai soli percettori di reddito finanziario. Sapendo questo si capisce come mai alcuni poteri dello Stato sono così contrari alla Flat Tax sul reddito da lavoro: distruggerebbe uno dei vantaggi dell’investimento in strumenti finanziari rendendo più appetibili quelli a reddito personale, andando controcorrente nell’indirizzamento del comportamento generale del risparmio popolare!
Di contro bisogna aumentare le tasse sui beni durevoli, tra cui in primis immobili e automobili. Per realizzare questo senza creare troppo malcontento servono la narrativa pauperista e l’appello all’invidia sociale, magari con la scusa del “lusso” o della “seconda casa”.
Strumento principale ed efficace nella lotta ai beni durevoli, è contrastare artificialmente la loro durevolezza con misure legali, rendendoli inservibili tramite leggi e normative varie, spesso inventate ad hoc.
Per finire questa narrativa di valore esclusivamente esemplificativo, è bene ricordare che essa rappresenta solo una parte locale di un fenomeno geopolitico mondiale. Cambiano le modalità applicative, ma le finalità e gli interessi rappresentati sono assolutamente identici e pervadono tutto il mondo occidentale. Per il caso specifico dell’Italia va anche detto – e questo sorprenderà forse qualcuno - che sotto alcuni aspetti la situazione nostrana è da considerarsi migliore che in molti altri Stati. Non per maggiore illuminazione dei politici o minore forza dei poteri che muovo i politici, tutt’altro. Questa nota positiva è da ascrivere unicamente e specificamente alla resilienza tipica dell’Italiano medio, abituato dalla fine dell’Impero Romano a non fidarsi delle autorità statali, spesso matrigne e ladre, e comunque raramente mosse dal desiderio sincero del bene popolare.
Questa diffidenza, o come si dice oggi con termine più gettonato, “resilienza”, ha finora vanificato in buona parte o almeno contrastato i tentativi iniziati dal governo Monti e perpetrato dal governo Draghi di aggredire sostanzialmente il patrimonio reale degli Italiani. Ma i tentativi di trasferire la disponibilità patrimoniale dal cittadino alle istituzioni finanziarie non sono certo finite, la lotta al contante, la imposizione dei pagamenti elettronici e la narrativa indimostrata della finalità anti-evasiva di queste norme, non confermata negli altri Stati, sono solo alcuni dei segni minori. L’attenzione va tenuta alta e l’Italiano medio tradizionalmente ha un atteggiamento cauto e diffidente a questi argomenti, una cautela quanto mai opportuna che lo protegge per quanto possibile. Ne è testimone il fatto che già oggi in Germania solo il 55% dei cittadini è proprietario della propria abitazione, quando in Italia restiamo sopra l’80%. Questa oculatezza atavica, imparata da ogni livello della popolazione dei millenni della nostra storia, costituisce una delle maggiori protezioni e speranze attuali. Sperando che duri e sia sufficiente.
3- il controllo dettagliato del cittadino.
Ammettiamolo: se Orwell nascesse oggi, resterebbe sconvolto dal livello di controllo individuale che i nostri moderni Stati hanno raggiunto. Mai nella storia dell’Europa si è parlato tanto di “privacy” e di diritto alla riservatezza, e mai abbiamo avuto un potere dello Stato di controllarci come oggi. Nemmeno il miglior Berija o Dzerzinski in persona si sarebbero mai sognati i mezzi di cui dispone oggi lo Stato per controllare i suoi cittadini. Tutti conosciamo bene l'argomento, ma forse non sempre ci pensiamo abbastanza.
Rassegnatevi: nemmeno il caffè resterà inosservato! Con i telefonini sanno dove siamo, sanno cosa diciamo, possono registrare ogni imprecazione e dire alla moglie “passo a ritirare quello che mi hai detto” può coinvolgerti in indagini con mafiosi e politici corrotti per decenni. Ogni volta che accendiamo un computer, che chiamiamo un amico, che facciamo l’esame del sangue o compriamo una aspirina, i nostri dati vengono registrati, archiviati, esaminati e valutati. Nella storia del mondo i cittadini hanno accettato o subito la sorveglianza statale per due motivi: per forza, perché imposta da regimi dittatoriali, o per consenso, perché finalizzato alla sicurezza personale e del patrimonio. L’anomalia odierna è che non viviamo in un regime dittatoriale che possa usare la forza e la sorveglianza non viene nemmeno usata per garantire maggiore sicurezza personale e del patrimonio, ma accettiamo lo stesso di essere sorvegliati in ogni nostra minima manifestazione vitale.
Oggi la sorveglianza parrebbe nascere senza fini di controllo sociale, in modo quasi spontaneo, come prodotto collaterale di altre strutture e servizi almeno originalmente finalizzati a tutt’altro. Facciamo l’esempio della Sanità. Il Fascicolo Sanitario è certamente una cosa utile. Tutti i nostri esami in un posto, niente più ricerca affannosa dell’ultimo esame del sangue o del ricovero della nonna prima di andare dal medico. Teoricamente possono vedere la nostra storia sanitaria non appena ci rechiamo in ambulatorio, veniamo ricoverati o ci rechiamo al Pronto Soccorso. Vero. Ma un effetto collaterale è che i nostri dati sono a disposizione non solo nostra e del medico, ma di “chi ne ha diritto”. E qui “casca l’asino”. Perché chi ne ha diritto non lo determiniamo noi, ma lo Stato. Per questo può dare accesso a chiunque vuole, senza limite alcuno, con la sola accortezza di fare una legge che lo sancisce. Magistratura e forze dell’Ordine ovviamente accedono senza restrizioni, e lo stesso vale per la ATS, dove in teoria può essere concesso accesso ad ogni operatore. Sembra innocuo ma se combiniamo questo con la nota permeabilità informativa dei nostri uffici pubblici, dove è la regola che un avviso di garanzia di una persona di rilievo pubblico arrivi prima ai giornali che all’interessato, la cosa assume una luce ben diversa. Mi ricordo un caso, che mi vide come esperto perito, dove un giovane signore aveva chiesto un finanziamento in banca per aprire una gelateria. Appena avviata l’attività la banca venne a sapere da documenti sanitari che la persona era affetta da leucemia, riducendone drasticamente la aspettativa di vita. La banca procedette immediatamente a chiedere la restituzione anticipata del prestito con tutti i danni derivati all’interessato ed alla moglie.
Avete avuto uno svenimento classificato dal medico, fosse anche per errore, attacco epilettico o crisi ipoglicemica sulla sola base del racconto di chi vi ha accompagnato al Pronto Soccorso, e dovrete dire addio alla patente. Vi hanno fermato in auto dopo una cena e trovato al limite dell’alcolemia? Rischiate di dover fare il test delle droghe pesanti ogni volta che vi fanno una multa. Avete alzato il braccio destro inavvertitamente per salutare una persona in discoteca e vi hanno fotografato, resterete negli elenchi riservati dei sospetti estremisti nazisti per l’eternità, anche se iscritti ad un partito di sinistra. Insomma, ogni azione diventa inemendabile, nessuna riabilitazione è più veramente possibile, il sistema gode di una memoria reale eterna.
Giustamente il problema è affrontato in Europa con molto maggiore intensità che in altri paesi del mondo. Ma attenzione: la mia televisione LG, dopo l’entrata in vigore della normativa GDPR europea della privacy, mi chiede l’autorizzazione di condividere i miei dati, cioè tutto quello che vedo e per quanto tempo lo vedo, con siti esterni allo spazio europeo, rendendo l’uso dei dati incontrollabile. Non dando tale permesso, mi ha bloccato ogni utilizzo di internet, da Netflix a YouTube o Google e mi ha costretto a munirmi di un ricevitore esterno che utilizza la TV solo come box video.
Ma quanti conoscono questi aspetti? E la obbligatoria liberatoria serve solo per bersagliarci di pubblicità, o anche per altri fini molto meno tollerabili? Il profiling tramite l’intelligenza artificiale vuole solo sapere come spendiamo i nostri soldi, o anche studiare come pensiamo, per sviluppare una più efficace strategia per manipolare, costruire ed influenzare ed infine generare le nostre opinioni, portando all’assurdo il concetto stesso della democrazia?
E soprattutto, chi sta dietro l’uso dei nostri dati? Un governo, che risponde comunque, nella misura in vigore nel proprio paese, a delle regole internazionali e locali e ad una comunità pubblica, o conglomerati privati di cui nessuno conosce i veri proprietari che sfuggono nell’ombra?
Questo ultimo punto è ovviamente quello in più rapida evoluzione, la tecnologia e le irrinunciabili esigenze che la vita moderna porta con sé ne fanno un elemento indispensabile. Non ha senso gridare contro lo sviluppo con un retrogrado atteggiamento del “NO” a prescindere, come è tipico di certe frange oltranziste. E’ piuttosto necessario studiare il problema, esaminarlo e arginarlo con gli stessi mezzi che la tecnologia, che per sua natura non è ne buona ne cattiva, ma lo diventa solo tramite l’uso umano, ci mette a disposizione.
Come non è la pistola a uccidere, ma la mano che la regge, così non è la tecnologia a danneggiarci, ma il cattivo uso che alcuni ne possono fare. Non vanno vietate pistole e computer, ma castigati e puniti coloro che li usano in modo non appropriato. Ecco perché dovremmo concentrarci di più su come vengono trattati i dati da parte dei grandi poteri forti che ormai sfuggono in gran parte al potere nazionale. In questi troviamo le multinazionali, ma possiamo annoverarci anche la magistratura e certe aree delle forze dell’Ordine, che spesso hanno dimostrato di usare le informazioni sensibili in modo mirato e non appropriato, senza poi doverne rispondere penalmente.
Anche in questo caso vi è comunque per noi italiani un raggio di luce nel buio, e lo ha dimostrato la pandemia. Quando lo Stato, preso dalla totale follia del terrore nata da una incompetenza abissale e terribile, ha tentato di imporre il “contact tracing” alla popolazione, immaginando che tutti si sarebbero lasciati dotare di un trojan da installare sul proprio telefonino per controllarne i movimenti, vi è stato una reazione unanime fortissima. Nonostante la stessa multinazionale Google abbia piegato la testa, installando di default, cioè senza permesso dell’utente, nei sistemi Android le basi necessarie per il trojan governativo, i cittadini hanno fatto ricorso alla naturale ed atavica diffidenza, vanificando l’operazione. Non se ne è più parlato ovviamente, cercando di nascondere i veri dati, visto il totale fallimento della iniziativa. Iniziativa, del resto, molto discutibile sul piano scientifico, ma questa è un’altra cosa. Anche qui è la naturale diffidenza italica nei confronti del governo ad avere la meglio. Abbiamo permesso che ci vaccinassero, nel bene o nel male, con un vaccino sperimentale non certificato e dagli effetti presunti, ma quando hanno cercato di controllare i nostri movimenti, abbiamo posto un freno. Il fatto ha dimostrato che dopo la ubriacatura vaccinale, lo spirito di autoconservazione popolare non era ancora del tutto piegato, ma solo stordito. E questo lascia qualche speranza per il futuro.
Sguardo d’insieme.
A questo punto possiamo gettare uno sguardo d’insieme su quanto ci hanno portato gli anni appena trascorsi. Stiamo vedendo una evoluzione mondiale contraria alla valorizzazione delle qualità personali e libertà individuali. Una evoluzione orientata verso un collettivismo livellatore del tutto simile a quello insito nella dottrina comunista, ma portato avanti non dagli storici sostenitori dalla sinistra, ma dai loro più acerrimi atavici nemici, i capitalisti finanziari. Stiamo evolvendo verso una società priva di identità individuali o culturali, dove una massa informe senza nome viene governata e nutrita da una piccolissima classe di governo, resa anonima e nascosta da questa stessa, mirata, evoluzione. Un potere sempre più indipendente dalla politica, dal gioco di potere pubblico della piazza e sempre più legato a logiche di parte minoritaria che ruota intorno alla disponibilità economica reale accentrata ed accumulata in cambio della distribuzione di strumenti virtuali di credito inesigibili.
Da tempo vediamo uno scadimento generale di tutta la classe politica mondiale, figure sempre meno competenti calcano la scena, corrotti e corrompibili. Siccome questo non avviene solo da noi, ma in tutto il mondo, con intensità variabile ovviamente ma a volte rasentando il ridicolo, è lecito immaginare che vi sia una ragione, un filo conduttore. E questo filo conduttore lo spiegano i tre punti già indicati. È evidente che il gruppo di persone che hanno in mano le disponibilità economiche reali, che decidono nelle grandi finanziarie, hanno ormai un potere molto maggiore di quello dei politici dei singoli Stati. Se un cancelliere tedesco o primo ministro italiano parla, esprime al massimo la volontà del suo paese, piccola parte del continente e ancor minore parte del mondo. Quando parla un amministratore delegato di una multinazionale da miliardi di dollari, esprime interessi radicati e influenti in decine o centinaia di paesi. Non è complicato capire chi trova maggiore ascolto.
La lenta ma inesorabile scomparsa della politica è infatti uno degli effetti più evidenti della evoluzione globalista e collettivista anonima della storia moderna. Non è che sia di molta consolazione, ma quando guardiamo certi nostri politici, nazionali o regionali, di cui la pandemia ha accentuato la visibilità delle limitazioni tecniche, morali e intellettuali, vediamo difetti ormai ben presenti un po' ovunque. Evidentemente il politico capace non serve più, i poteri veri si sono spostati, gli interlocutori cambiati.
Considerazioni finali
Per molti aspetti la situazione pare richiamare quella del 5° e 6° secolo dopo Cristo, sperando che non replichi quando avvenuto dopo gli spari di Sarajevo. Una cosa mi pare però certa: nei secoli futuri la nostra epoca, dopo 70 anni di relativa calma, sarà ricordata dagli storici come una era interessante.
Noi in questa evoluzione drammatica, in cui forze potenti operano per la distruzione definitiva di quanto l’Europa ha creato, in valori, pensiero e umanesimo, è necessario coalizzare le purtroppo poche risorse rimaste che vedono nel progetto umanista e libertario europeo, fondato sul diritto di libero pensiero della persona individuale. Bisogna raccogliere tutte le forze disponibili, da destra a sinistra, laiche o religiose, al fine di impedire che qualcuno che opera nell’oscurità dei propri interessi contrari a quelli di libertà individuali tipici dell’Europa, riesca a distruggere le conoscenze del passato a favore di una o l’altra ideologia o religione. Che mai più a nessuno sia permesso di bruciare la Biblioteca di Alessandria gettando l’umanità in un periodo di stagnazione durato più di dieci secoli!
Con questo trasmetto l’augurio che tutti possano festeggiare le prossime feste con serena felicità nel modo che la tradizione e le preferenze di ciascuno gli suggeriscono.
Pavia, il 21.12.2022
Guido Peter Broich