di Luciano MENEGHETTI
Prendo a prestito il titolo di uno dei principali scritti politici di Lenin, per una piccola riflessione sul problema della sicurezza in Italia.
Tutti, persone normali e politici, dicono che nel nostro paese non c’è “certezza della pena”.
Su che cosa sia però la “certezza della pena”, le idee sono un po’ confuse.
Per alcuni è , con un’espressione triviale ma molto in voga tra certi personaggi, mandare in carcere i delinquenti e “buttare via la chiave”.
A parte la dubbia efficacia deterrente della minaccia di “pene fine mai”, tale orientamento sempliciotto è in aperto contrasto con la nostra Costituzione, che stabilisce chiaramente che la pena deve avere un “fine rieducativo”.
Se chi delinque sa che non uscirebbe più di galera o ne uscirebbe in tempi lunghissimi, sarebbe portato a disinteressarsi della gravità dei suoi comportamenti, perché il meccanismo psicologico che scatterebbe sarebbe quello del “tanto vale…”
Quindi “certezza della pena” non può coincidere con pene “draconiane”, il cui effetto deterrente può essere addirittura controproducente.
Esempio tipico i “democratici” Stati Uniti, dove hanno la pena di morte e il tasso di criminalità comune più alto al mondo
Ce lo ha insegnato Cesare Beccaria: la certezza della pena non è la sua gravità, ma la probabilità di applicarla.
È su questo punto che l’Italia è assolutamente deficitaria: minacciare l’ergastolo e non poterlo infliggere, per ragioni “tecniche”, “tamquam non esset”
Pertanto è sulle ragioni “procedurali e strutturali” del sistema di repressione che bisogna agire, non sul suo risultato, cioè sulla pena.
Questo è un grosso errore che spesso fa il nostro legislatore: di fronte ad un’emergenza aumenta la pena del reato, senza che per questo si aggiunga nulla alla sicurezza della collettività.
Un esempio?
Di fronte a quello che sembra essere una questione epocale in Italia, la tutela delle donne, nel 2019 è entrato in vigore il cd. “codice rosso”.
Questo ha aumentato da sei a sette anni la pena massima per uno dei reati che paiono più diffusi contro le donne, i “maltrattamenti in famiglia”.
L’inutilità preventiva di una tale disposizione, se non sotto il profilo dell’immagine dei politici che l’hanno voluta, è sotto gli occhi di tutti.
Dal 2019 le denunce per maltrattamenti, invece di diminuire, sono esponenzialmente aumentate.
Non è aggravando le pene che si risolve il problema della “certezza della pena” e della tutela della collettività, ma con meccanismi che accelerino la sua applicazione.