UN 33% DETERMINANTE
di Giorgio De Biasi
Mancano due settimane al voto e molte cose dette dai leader politici dall’inizio della campagna elettorale sono ora riviste e corrette. Dal rifiuto quasi generale di dare vita ad un governo di “larghe intese” si è passati a teorizzare la nascita di un “governo di scopo” per poi passare ad ipotizzare un “governo del presidente” e, infine, per arrivare oggi a non escludere l’opportunità di dare vita a un “governo di unità nazionale”.
Nel frattempo la distanza tra Berlusconi e Salvini è aumentata; la voglia del M5S si partecipare al governo la si tocca con mano ascoltando le dichiarazioni di un Di Maio convertito al mantenimento dell’euro e, cosa non da poco, così come non è da poco l’attivismo di un Gentiloni che accredita come affidabile il governo di una sinistra socialdemocratica post comunista.
Nessuno più parla di ritorno alle urne in caso di impossibilità di formare un governo. Nessuno ne parla più perché tutti hanno capito che dal voto non uscirà né il vincitore né lo sconfitto.
Nessuno più ne parla perché con il ritorno alle urne su concretizzerebbe il definitivo fallimento della “politica” ed il fosso esistente fra politici e cittadini si trasformerà in baratro.
Analizzando i dati degli ultimi numerosi sondaggi e assumendo quale valore di riferimento quello più favorevole in assoluto (vedi tabella) appare evidente che nessuno può vincere e nessuno può perdere, così come nessuno potrà formare un governo a meno che:
• i pezzi pregiati del centro destra si alleino con il M5S (quasi incredibile)
• i pezzi pregiati della sinistra si alleino con il M5S (forse possibile)
Sempre secondo i sondaggi il M5S si configura, oggi, come il primo partito politico sia per voti concessi dall’elettorato e quindi anche per parlamentari eletti.
Un orfano di Andreotti e Craxi – quale io sono – ricorda che nella prima repubblica il Presidente della Repubblica non lasciava in un angolo il partito che aveva ottenuto il maggior consenso elettorale affidando ad un suo leader il compito di formare un governo che, per democratica trattativa Cencelli, poteva anche essere affidato a persona di un partito minore che concorreva a formare la maggioranza parlamentare.
Ecco perché mi viene difficile pensare che l’ultimo e/o il primo partito a salire il colle del Quirinale non sia il Movimento 5 Stelle che oggi, volenti o nolenti, può determinare una maggioranza stabile forse alleandosi con quella sinistra con cui ha già trattato in passato.
Ma l’Italia non è nelle mani del solo Movimento 5 Stelle. Noi, noi elettori, siamo anche nelle mani di quel 33% che non andrà a votare perché non ha alcuna fiducia nel futuro.
Sarà difficile far comprendere a questo 33% che sono loro l’ago della bilancia. Che sono loro quelli che possono far superare alle coalizioni ed al M5S l’asticella della maggioranza.
Ma questo popolo è un popolo moderato o rivoluzionario? Crede o non crede che le cose possano cambiare? Voterà per Salvini o Di Maio oppure per Berlusconi e Renzi? Questo non oggi non è possibile saperlo pur potendo ipotizzare che il 33% sia fatto da moderati che hanno perso la fiducia nelle istituzioni parlamentari.
Quello che oggi NOI, l’altro popolo, quello degli elettri, può fare è rivolere un appello per convincere quell’importantissimo 33% a recarsi alle urne perché il futuro dell’Italia è nelle loro mani.