VOX POPULI, VOX DEI
Giorgio De Biasi
Francesco Di Menna, fine studioso e interprete del diritto, inteso come scienza dell’organizzazione della società attraverso le Istituzioni e le regole nonché attento conoscitore delle dinamiche non scritte che regolano la vita di importanti istituzioni quali, il Ministero dell’Interno, il Consiglio dei ministri e la Presidenza della Repubblica, scrive un post su Facebook dove afferma: “Un Governo che tenga fuori la Lega con il 36 per cento dei voti alle Europee è difficilmente fattibile.”
L’assunto di Francesco è di quelli che invitano alla riflessione al dialogo che, io mi auguro, possa intervenire ad alto livello proprio qui su Facebook dove illustrissime voci come quella di Francesco, di Nicola Izzo, di Luciano Meneghetti, di Antonio Fusaro, di Filiberto Rossi, di Carmine Fioriti, di Filippo Saltamartini e di molti altri cercano, tentano e si adoperano per rendere visibile uno scenario politico i cui orizzonti e confini ancora non si intravedono poiché nascosti da una “nebbia al suolo” che impedisce allo sguardo di alzarsi oltre le miserie della politica ma che, bensì, consente di vedere quell’orizzonte che il “consenso popolare” rende possibile vedere.
Sé è vero come è vero che i risultati delle elezioni europee non possono modificare la rappresentanza politica del Parlamento italiano legittimamente eletta, risulta pur legittimo ritenere che il risultato europeo può condurre ad una presa d’atto di una mutata condizione della rappresentanza stessa.
Fatta questa affermazione possiamo ora domandarci: “Ma questa presa d’atto a chi compete oltre a quella forza politica che, con il suo consenso, l’ha determinata?”
Orbene possiamo in prima e sommaria analisi rispondere che questa “presa d’atto” non è mai stata nella mente del Presidente del Consiglio Conte che, invero ha dovuto subirla nel momento in cui il soggetto titolare della maggiore rappresentatività ne ha richiesto l’immediata verifica nel livello nazionale.
Lo svolgersi del dibattito politico e la decisione di formalizzare la “presa d’atto” nel livello parlamentare indicano che parte della nostra classe politica desidera e fortemente vuole che tale “presa d’atto” non avvenga mai impedendo al popolo sovrano di sancire, mediante una nuova votazione, che la rappresentanza politica italiana non è più quella scaturita dalle urne il 4 marzo del 2018 ma quella scaturita dalle urne il 26 maggio 2019.
I dati indicati nel prospetto riportato in calce a questo post dicono che Lega. Forza Italia e Fratelli d’Italia ovvero i partiti che formano la “destra” hanno ottenuto il 49,5% del consenso rispetto ad un 22,7% del Partito Democratico e ad un 17,1% del Movimento cinque stelle che non formano comunque una compatta coalizione politica accreditabile ai valori della sinistra.
Da questa innegabile realtà nasce l’assunto di Francesco Di Menna che io, seppure impropriamente, desidero così riformulare: “Ma può un Presidente della Repubblica evitare di prendere atto che in Italia esistono forze politiche omogenee che hanno ottenuto nelle ultime consultazioni elettorali il 49,5% del consenso oltre che, in quelle locali, conquistato 11 Regioni contro le 9 del PD e nessuna del Movimento 5 stelle.?”
La Costituzione Italiana consente al Presidente Mattarella di riporre nel cassetto dei ricordi il risultato elettorale europeo e regionale, mantenendo vivo e attivo quel Parlamento che non coagula oggi il maggioritario consenso degli Italiani.
Nel dibattito parlamentare di ieri molti, anzi tutti i partiti, fatta eccezione per il M5S si sono dichiarati favorevoli al ricorso alla verifica del consenso tramite elezioni salvo poi lavorare sottobanco per impedire tale verifica giustificando tale loro “lavorio sottotraccia” con argomentazioni deboli e, a volte, non proponibili.
Ora è il momento della verità o meglio è il momento in cui qualsiasi decisione dovrà assumere il Presidente della Repubblica sarà pur sempre una decisione che “spacca” l’Italia a metà.
Se il Presidente Mattarella ha la forza di assumersi la decisione di dare vita ad un governo in cui quel 49,5% di consenso resta escluso lo faccia assumendosene tutte le responsabilità e mettendo in debito conto che quel 49,5% non starà sicuramente zitto nelle strade e nelle piazze italiane.
Ecco perché oggi è utile chiedersi: “Ma è meglio una verifica del consenso pur con tutte le incognite che essa si trascina oppure e meglio vivere in un Paese spaccato a metà?”
Difficile risposta solo nel momento in cui il rifiuto della verifica del consenso la rende difficile.